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Perchè si dice "è successo un 48"

Per indicare una serie di eventi caotici, confusionari, spesso difficili da spiegare si usa l'espressione "è successo un 48". Qual è la sua origine?

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Nella vita di tutti i giorni, ci sono momenti in cui ci troviamo di fronte a una serie di eventi caotici, confusi e talvolta difficili da spiegare. In questi frangenti, un’espressione comune che spesso emerge è “è successo un 48“. Questa locuzione ci consente di sintetizzare in poche parole una sequenza di avvenimenti intricati, senza doverci immergere in spiegazioni dettagliate che potrebbero risultare complesse, date l’entità degli eventi e la rapidità con cui si sono susseguiti.

L’uso di un’espressione “è successo un 48” rappresenta un interessante fenomeno linguistico e culturale che ci porta a riflettere sull’origine di questo detto popolare. Quella che potrebbe sembrare una mera abbreviazione in realtà ha radici più profonde e affonda le sue origini in situazioni particolari della storia (lo stesso avviene anche per altre espressioni, come “essere ai ferri corti”). Andiamo a scoprire insieme di quali si tratta.

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Perché si dice è successo un 48?

L’utilizzo del numero “48” nell’espressione “è successo un 48” ha radici profonde che risalgono all’anno 1848. Questo periodo storico è stato segnato da una serie di rivolte popolari borghesi che sono entrate nell’immaginario collettivo come le “rivolte del ’48” o, in modo più frequente, come “Primavera dei popoli“.

Questi eventi tumultuosi hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia europea e si sono trasformati in un punto di riferimento linguistico per descrivere situazioni caotiche e confuse in generale e anche in ambiti totalmente avulsi a quelli della politica e della rivoluzione.

Tuttavia, l’anno 1848 non è soltanto un simbolo di caos e confusione, ma rappresenta soprattutto un periodo di profondo cambiamento. Quando si dice che “succede un 48“, si fa riferimento a una serie di eventi che, pur nella loro complessità e frenesia, portano con sé un’evoluzione significativa. Questo proprio perché le rivolte del ’48 hanno dimostrato come un insieme di situazioni tumultuose possa collettivamente contribuire a modificare il corso della storia.

Cosa è successo nel 48 in Italia?

Gli avvenimenti del 1848 hanno avuto un particolare impatto sull’Europa dell’Ottocento, poiché sono stati promossi principalmente dalla classe media borghese in molti paesi che avevano visto la restaurazione delle vecchie monarchie dopo periodi di cambiamento. L’anno in questione ha segnato un momento di svolta in cui le aspirazioni di cambiamento e la richiesta di maggiore partecipazione politica hanno portato a una serie di sollevazioni in diverse parti del continente.

La scintilla di questa serie di rivolte è stata accesa proprio in Italia, con una particolare enfasi sulla Sicilia, dove è stato istituito un governo indipendente. Qualcosa è successa anche nel Regno Lombardo-Veneto. Quest’ultimo è stato teatro delle celebri “Cinque Giornate di Milano“, un evento che ha dato il via al movimento del Risorgimento Italiano, mirante a unificare le diverse regioni italiane sotto un’unica bandiera.

Non solo le rivolte del ’48 hanno portato alla nascita di nuove costituzioni in vari paesi europei, ma hanno anche avuto conseguenze a lungo termine. Lo “Statuto Albertino“, promulgato nel Regno dei Savoia, è rimasto in vigore anche nel successivo Regno d’Italia dal 1861 e ha conservato gran parte della sua struttura fino alla promulgazione della Costituzione della Repubblica Italiana nel 1946.

Cosa vuol dire a carte 48? E perché si dice?

Oltre all’espressione “è successo un 48“, vi è un’altra locuzione che coinvolge il numero 48 e si tratta di “mandare a carte 48“. Questo detto, di origini napoletane, si è diffuso in tutta Italia con il significato di “mandare in rovina” o “mandare al Diavolo“. L’uso di questa frase può apparire curioso, ma la sua origine può essere fatta risalire a contesti storici e linguistici di un certo fascino.

Ancora una volta, però, le radici di questa espressione possono essere ricondotte ai moti risorgimentali del 1848, quando gran parte della penisola italiana era occupata da monarchie straniere. In un periodo in cui l’Italia cercava di liberarsi dall’oppressione straniera e lottava per l’unità nazionale, dire “qui succede un 48” o “mandare a carte 48” assumeva un significato di rovesciamento, di sovvertimento dell’ordine esistente. Questo perché, come abbiamo già visto, l’anno 1848 stesso rappresentava un simbolo di rivolta, cambiamento e desiderio di rovesciare il dominio straniero.

Nonostante l’origine legata al contesto storico, “mandare a carte 48″ ha trovato spazio anche in altre sfere della cultura, come ad esempio il gioco delle carte. Nel contesto ludico, esiste la “regola del 48“, in cui un giocatore memorizza le carte dell’avversario per poterlo battere più agevolmente. Questa regola è stata associata all’espressione, poiché “mandare qualcuno a carte 48” può essere interpretato come mettere qualcuno in una situazione difficile o noiosa, simile all’idea di sfruttare la conoscenza degli avversari nel gioco delle carte.

Proprio quest’ultima origine pare far sì che l’espressione “mandare a carte quarantotto”, nel significato di “scombinare tutto”, abbia una genesi ancora più antica del 1848, essendo stata registrata dal padre domenicano Andrea Casotti di Prato nel 1734.

Il numero 48 nella smorfia napoletana: è “morto che parla” (non è il 47)

Nel colorato mosaico di significati e simboli della smorfia napoletana, il numero 48 riveste un ruolo particolare, essendo associato all’intrigante figura del “morto che parla“. Nonostante le apparenze possano ingannare, è importante sfatare un equivoco radicato: spesso si ritiene erroneamente che sia il numero 47 quello che corrisponde a questa inquietante figura, ma in realtà è proprio il 48 a essere associato al “morto che parla“.

All’interno della smorfia napoletana, per essere precisi, il numero 48 rappresenta il “morto che parla” (‘O muorto ca parla). Questa cifra segue il numero 47, che rappresenta il “morto“, e precede il numero 49, che simboleggia il “pezzo di carne“. Questa sequenza numerica, sebbene possa apparire enigmatica agli occhi non iniziati, costituisce una parte vitale del sistema interpretativo della cabala napoletana, in cui i numeri sono legati a concetti, simboli e figure.

La confusione che spesso sorge riguardo a questo argomento deriva dalla smorfia romana, dove è effettivamente il numero 47 a rappresentare il “morto che parla“. La discrepanza tra le due tradizioni risiede nelle differenze interpretative delle sequenze numeriche e delle loro corrispondenze simboliche. Mentre a Napoli è stata attribuita la connotazione del “morto che parla” al numero 48, a Roma questo ruolo è stato affidato al numero 47.

La rivalità tra i napoletani e i romani su chi abbia ragione in questa disputa è affascinante, tuttavia, non esiste una risposta assoluta o un vincitore indiscusso. Le tradizioni locali possono variare e si adattano alle sfumature linguistiche e culturali di ciascuna regione. È interessante notare che, nel corso del tempo, anche a Napoli si è sviluppata l’idea che il numero 47 corrisponda al “morto che parla“, un esempio di come le tradizioni possono evolversi e adattarsi all’interpretazione collettiva.

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