Copyright, Google Books finalmente raggiunge il suo obiettivo. Sono passati ben dieci anni da quanto la vicenda ha avuto inizio, ma alla fine, a colpi di documenti e carte bollate, il colosso della Silicon Valley ne è uscito vincitore. La corte suprema americana ha infatti dato il via libera alla digitalizzazione dei libri senza incorrere in problemi legati ai diritti. Nonostante le proteste degli autori, i giudici hanno valutato primario l’interesse pubblico legato alla conoscenza. Una decisione epocale che ha fatto e farà discutere ancora a lungo visto che non mancano le proteste anche tra chi sostiene la cultura libera.
Quello dei libri è uno dei campi in cui Google ha deciso di rivolgere il suo interesse una dozzina di anni fa. Il più famoso motore di ricerca del mondo, infatti, non è specializzato soltanto nel riprodurre mappe o riportare liste di link, ma ha da tempo stretto accordi con molte biblioteche per digitalizzare le opere che sono state raccolte. Il progetto prende piede e coinvolge biblioteche sempre più prestigiose. A questo punto arrivano anche le reazioni di protesta da parte di autori ed editori che non vogliono cedere i copyright a Google Books.
Nel 2005 parte la battaglia in tribunale con Authors Guild da una parte e Google Books dall’altra. Dopo un accordo saltato nel 2011, nel 2013 la prima sentenza ha dato ragione a Google. Gli autori hanno quindi fatto ricorso e anche in appello la battaglia dei copyright è di Google Books. L’ultimo tentativo, gli autori l’hanno effettuato con la corte suprema, ma ora anche questa sentenza è stata a favore di Google. Dopo le sue incursioni in diversi campi, tra cui quello della medicina, è ora definitivamente autorizzato a digitalizzare i libri.
Attualmente con Google si può fare e organizzare di tutto. Ma ora che ha digitalizzato venti milioni di libri sembra inarrestabile. Non mancano però le perplessità anche di chi si conferma a favore della cultura libera. Andrea Zanni, ex presidente di Wikimedia Italia, pone dei dubbi sulla questione, ipotizzando che Google, se volesse un giorno impedire l’accesso a tutto il sapere, potrebbe utilizzarlo esclusivamente per un proprio vantaggio competitivo. Delegare un patrimonio della cultura, di quest’ampiezza, è un rischio da non sottovalutare in quanto consiste in una sorta di delega alla cultura. Nonostante la decisione della corte suprema americana, la vicenda lascia degli interrogativi.