È ancora fresca, freschissima (se non aperta), in Europa, la guerra che dal 1991 al 1995 – con pause più o meno rilevanti – ha sconquassato la ex Jugoslavia: vicini di casa che da un giorno all’altro diventavano nemici, morte, distruzione, fazioni contrapposte, profughi, bombe.
Tutte le popolazione slave ricordano bene, purtroppo, quei momenti di terrore. Anche Faruk Hadzibegic. Anzi, probabilmente lui ci penserà un po’ più spesso, visto che è convinto di avere avuto i mezzi per fermare la guerra prima ancora dello scoppio.
Erano in corso i Mondiali di Italia ’90, quelli delle notti magiche di Edoardo Bennato e Gianna Nannini. Tutti a inseguire un gol, compreso Hadzibegic, che della nazionale jugoslava indossava la fascia di capitano (fu anche l’ultimo giocatore ad indossarla della nazionale della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia in occasione dell’incontro amichevole contro i Paesi Bassi del 25 marzo 1992, l’ultimo della nazionale unificata).
Il difensore, che militava in Francia nel Sochaux, fallì però il rigore decisivo contro l’Argentina, il rigore che avrebbe qualificato la Jugoslavia in semifinale. E che invece costò l’eliminazione dei Plavi. Ora che di mestiere fa l’allenatore del Valenciennes è tornato sull’argomento ai microfoni di ’20minutes.fr’: “Se avessi segnato contro l’Argentina saremmo andati in semifinale e credo che la guerra nel nostro Paese non ci sarebbe stata”.
Hadzibegic, che è originario di Sarajevo (e dunque bosniaco), nella squadra di calcio della città è nato e cresciuto calcisticamente. E psicologo di quel Sarajevo Calcio era Radovan Karadzic, poi 1° Presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, condannato nel marzo 2016 a 40 anni di reclusione in primo grado dal Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia per genocidio (a Srebrenica), crimini di guerra e crimini contro l’umanità durante l’assedio di Sarajevo, il massacro di Srebrenica e le altre campagne di pulizia etnica contro i civili non serbi durante la guerra in Bosnia.
Hadzibegic di lui ha detto: “E’ stato in quel club per otto anni, abbiamo cenato insieme e discusso di tutto. Era un bravo ragazzo. Non avrei mai immaginato quello che sarebbe successo dopo, sono rimasto scioccato, ma oggi lo odio. La persone sono costrette a chiamarsi serbi, bosniaci, croati, montenegrini… ma in realtà noi ci sentiamo tutti jugoslavi”.