Riccardo Bridelli è un miracolato. Il giovane ciclista della squadra milanese PregnanaTeam Scout è stato vittima, lo scorso 2 settembre, di una terrificante caduta nel corso della seconda semitappa della Vuelta a Tenerife, un giro in tre giornate dell’isola spagnola, famosa per ospitare gli allenamenti dei big, da Nibali a Contador.
A 30 km dal traguardo di Arafo (su 95 km totali), il 20enne, per evitare un altro corridore che aveva sbagliato la traiettoria, è finito in un burrone alto 57 metri, l’equivalente di un palazzo di venti piani, sbattendo contro la roccia e atterrando su di un arbusto. Nonostante il primo bollettino medico fosse terrificante (dissecazione della carotide provocata dal laccio del caschetto, emorragia e fratture al bacino, lesione a un rene, contusione polmonare, quattro vertebre e due denti rotti), Riccardo si è ripreso e il 25 novembre, dopo ottantatre giorni di ospedale, ha rimesso piede in casa: "A Tenerife leggevo tutti i giorni la Gazzetta. Al Niguarda ho fatto amicizia con altri ragazzi. Ci chiamavamo il club dei miracolati. Perché questo sono: un miracolato", racconta in una lunga intervista a 'La Gazzetta dello Sport'.
"A volte penso che a 20 anni sono per metà di ferro, però cerco il lato positivo – prosegue Bridelli -. Sono perito meccanico, ma studio Nietzsche e leggo libri come 'Io sono un’arma' di David Tell e 'Non si abbandona mai la battaglia' di Eric Greitens. Mi insegnano che, se hai dieci motivi per essere triste, devi cercare l’undicesimo per sorridere. A Milano mi hanno detto: 'Con una bici al massimo andrai a comprarti il gelato'. Posso caricare al 30% con la gamba destra, ma prima di Natale sono salito in sella per qualche minuto. Il mio sogno è tornare quello di prima. Sono pazzo? In ospedale guardavo ogni giorno il video sulla storia di Adriano Malori. Lui ce l’ha fatta. Posso riuscirci anch’io".