Lega Nord partito razzista? Il gip: dirlo non è diffamazione

Archiviata indagine su ex ministro Kyenge: è critica politica

13 Gennaio 2017
Fonte: Copyright (c) APCOM.

Milano, 13 gen. (askanews) – Dire che “la Lega Nord è un partito razzista” non è diffamazione, ma un’espressione che rientra “pienamente nell’esercizio del diritto di critica politica”. E’ per questo che il gip di Milano, Maria Vicidomini, ha archiviato l’indagine avviata nei confronti dell’ex Ministro Cecile Kyenge, accusata di diffamazione nei confronti del Carroccio.

Fu lo stesso segretario federale Matteo Salvini a querelare l’ex ministro del governo Letta per il contenuto di due articoli del marzo 2015. Ma come precisa il gip Vicidomini nell’ordinanza di archiviazione, nel primo articolo, pubblicato sul quotidiano on line Affari Italiani, “la Kyenge si limitò a rimarcare la necessità di sanzioni per i partiti o gruppi politici che si facessero portavoce di discorsi a contenuto razzista, chiarendo espressamente che intendeva riferirsi non solo alla Lega Nord ma a tutti i partiti: si trattava, dunque – sottolinea il giudice milanese – di affermazioni che nel loro complesso inerivano alla problematica dello stato di attuazione della legge-Mancino”.

E’ nel secondo articolo che l’ex ministro del governo Letta stigmatizzò il Carroccio come “partito razzista”.
Un’affermazione, chiarisce il gip di Milano, “spiegata dalla stessa Kyenge per l’assenza di sanzioni del partito verso i suoi esponenti che facevano dichiarazioni razziste, difendendoli anzi nelle aule giudiziarie”.

L’ex ministro dell’integrazione era stata attaccata con frasi razziste da alcuni dirigenti della Lega Nord, come l’ex vicepresidente del Senato Roberto Calderoli o l’europarlamentare Mario Borghezio. E’ per questo, sottolinea ancora il gip Vicidomini, che “ha attivato plurime iniziative, facendosi portavoce di una battaglia politica per l’affermazione dei principi di non discriminazione razziale anche in ambito istituzionale”. I due articoli che hanno spinto Salvini a querelarla, conclude il giudice milanese, vanno dunque “isolatamente e complessivamente considerati” e “rientravano pienamente nell’esercizio del diritto di critica politica” soprattutto perchè “le affermazioni della Kyenge (…) inerivano ad un più complesso discorso (…) relativo alla necessità di monitorare le modalità di attuazione della legge Mancino”.

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