Cicco Sanchez – cantautore e rapper urban torinese – ci ha mandato una lettera per spiegare ai fan e al pubblico alcuni versi di “Luna“, uno dei suoi brani di maggior successo, che potete ascoltare sotto.
Non aveva mai reso pubblico questo suo lato, prima d’ora: ecco cosa ci ha scritto.
In una delle mie ultime canzoni prodotte da Freeso, “Luna”, a un certo punto dico: “Io che affogo nelle mie lacrime con in mano una pistola, pensavo fosse la mia ora, frafra avevo il cuore in gola”. I versi che scrivo prendono spunto dalla mia vita, anche da fatti privati, e non tutti gli ascoltatori possono cogliere tutti i riferimenti.
Quando avevo 13 anni, dopo cinque anni di crisi economica e morale, i miei si sono separati. Sono passato da avere un padre “presente”, nel bene e nel male, a non avercelo per anni. Mia madre, in quei mesi, aveva aperto una gelateria in periferia di Torino in società con un’amica con gli ultimi risparmi e stava fuori casa dal mattino alle 9 fino all’1 di notte, non potendosi permettere una dipendente. Io e mio fratello eravamo praticamente abbandonati a noi stessi e questo non ha giovato alle mie scelte.
A scuola (quando ci andavo) passavo dall’essere un tornado all’essere un fantasma che dormiva all’ultimo banco. Non ero stimolato e la situazione a casa – la mancanza di mio padre e la poca presenza di mia madre – mi distruggeva. Ho vissuto il loro fallimento come fosse mio, cercavo a tutti i costi un colpevole di questa storia. Mio padre ha perso la testa e ho patito questo più di qualsiasi altra cosa, non sentivo la terra sotto i piedi. L’attività di mia madre nel giro di due anni non riesce a stare in piedi e il frigo inizia a essere sempre più vuoto, sempre più affitti da pagare e lo sfratto non tarda ad arrivare. Mi sentivo un peso e non riuscivo a dare un senso alla mia vita avvolto dentro questa bolla di negatività. Non vedevo un futuro, avevo pensieri brutti…
Proprio in questo periodo mi misi a scrivere, buttavo giù i miei sfoghi dove capitava per poi, poco dopo, iniziare a registrarli su un beat. Mia madre lesse qualcosa di quel fiume di pensieri e, forse anche per questa paura di lasciare traccia fisica di questi, presto iniziai a scrivere le canzoni dentro la mia testa per poi registrarle direttamente. Questo metodo è nato in modo del tutto naturale e inconsapevole e tuttora è così. Nel testo di “Mani in tasca” a un certo punto si sente “Dicevo ‘mami, vai tra’, scrivevo frasi dove capitava, fogli sparsi per casa, lei li leggeva e se ne andava in para per me”…
Con la musica, tutto ha iniziato ad avere più senso. Era il mio sacco da box e allo stesso tempo un modo di sentirmi a casa. Mi faceva stare bene come nient’altro prima e da quel giorno è diventato il mio punto fermo, non ho mai più smesso.
A 17 anni è uscito il primo pezzo con video ufficiale, diciamo, e qualche giorno dopo sono partito per la Spagna dove sono rimasto tre mesi. Ho fatto un po’ di soldi e ho aiutato mia madre con la casa nuova (quella dopo lo sfratto) e da quando sono tornato non ho fatto altro che lavoretti dove capitava e musica dove capitava, dagli home studio alle cantine fino agli studi professionali.
Due anni fa con i soldi messi da parte ho comprato l’attrezzatura per girare video con un amico e mio fratello e ci siamo inventati un mestiere che ci permettesse di mantenerci e mantenere il nostro progetto tuttora diventando anche questo una passione sempre più grande.