La Terra accesa e vista dallo spazio. La NASA ancora una volta sorprende mostrando un aspetto inedito del nostro Pianeta e mostrando le aree più luminose. Di notte infatti la Terra si accende grazie alle luci create dall’uomo e lo spettacolo, visto dallo spazio, è davvero unico, ma soprattutto ci consente di valutare il cosiddetto “inquinamento luminoso”.
La nuova mappa notturna della NASA arriva dopo che nel 2012 era stata presentata l’ultima immagine e mostra un’inedita visione del “Black Marble”, soprannome che i ricercatori hanno dato al Pianeta.
Una prospettiva unica per valutare le attività umane. Grazie a queste foto infatti nel Nasa Goddard Space Flight Center, gli studiosi hanno la possibilità di studiare, per esempio, l’espansione delle città, ma anche di monitorare l’intensità della luce per poter stimare il consumo dell’energia sulla Terra.
Dai dati emerge ad esempio che la Via Lattea non si può vedere dalla Pianura padana, ma nemmeno da San Marino, dal Kwait, dal Qatar, da Singapore e da Malta. In Francia e Germania invece l’inquinamento luminoso è inferiore, fa più buio e si può godere di un cielo pressoché “primordiale”.
Le foto scattate al Pianeta durante la notte, con le “luci notturne”, sono particolarmente suggestive, ma rappresentano più che altro uno strumento di ricerca che viene utilizzato da oltre 25 anni.
Forniscono infatti un’immagine globale della Terra, mostrando il modo in cui l’uomo riesce a modellarla illuminandola di notte. Le mappe in questione vengono prodotte circa ogni dieci anni e sono utilizzate per centinaia di progetti di ricerca sociale, ambientale ed economica.
Come si nota nel video diffuso dalla NASA le foto sono a dir poco perfette, elaborate con dei software che garantiscono una vista ad alta definizione, precisa e affidabile grazie a nuovi software e algoritmi sviluppati di recente. A realizzarle il “Nasa-Noaa Suomi National Polar-orbiting Partnership (NPP)“, un satellite lanciato in orbita nel 2011. Ad elaborare gli scatti delle luci notturne ci ha pensato lo scienziato Miguel Román insieme con il suo gruppo di ricerca.