Le Olimpiadi sono finite da quattro giorni ma è ancora in Brasile Feyisa Lilesa, medaglia d’argento nella maratona maschile a Rio de Janeiro.
L’atleta etiope dopo aver tagliato il traguardo come secondo ha esultato alzando le braccia e incrociando i polsi, simulando il gesto di un ammanettamento: un’esultanza, ripetuta anche in confererenza stampa, che Lilesa ha usato per protestare contro il governo di Addis Abeba.
“Il governo sta reprimendo duramente con molte uccisioni le proteste della popolazione degli oromo, che si oppongono allo sfruttamento delle loro terre e risorse – ha spiegato l’atleta -. Io sono un oromo e non posso non supportare la loro causa ovunque. Alcuni miei parenti sono in prigione e se dovessero denunciare violazioni dei diritti umani finirebbero per essere uccisi”.
“So bene che dopo questa protesta anch’io rischierò di andare in prigione o di essere condannato a morte, per questo potrei anche andare a vivere in un altro paese, anche se non ho ancora preso una decisione definitiva”.
Lilesa ha deciso per ora di non tornare nel suo Paese. Il governo etiope ha rifiutato di rispondere alle domande sul corridore ventiseienne, che ha una moglie e due figli che ancora vivono ad Addis Abeba. Un campagna nata sul web ha raccolto oltre 120mila dollari in favore dell’atleta.