Intervista ad Achille Lauro: “Salite sull’astronave della samba"

Achille Lauro, giovane artista di successo, racconta a Supereva del suo ultimo singolo, del suo viaggio musicale e dei suoi progetti per il futuro

14 Settembre 2017

A neanche un anno dalla pubblicazione di “Ragazzi Madre”, Achille Lauro e Boss Doms – il suo alter ago alle produzioni – hanno già rimescolato le carte in tavola. Pochi giorni fa, precisamente il 21 luglio, è uscito il nuovo singolo “Amore Mi”, che unisce un testo dal profondo senso metaforico ad una produzione dal sound innovativo, nato dal mix di samba e bossa nova con i ritmi più peculiari del rap (e anche una vaga eco trap).

Le parole passano in rassegna cinicamente la società presente, esaltandone con ironia i lati più caratteristici e grotteschi, una sorta di caricatura antropologica della generazione attuale.  “Abbiamo deciso di lasciare i telefoni a casa e partire lontano dall’Italia per un po’. Abbiamo vissuto con persone che non conoscevamo e che non parlavano la nostra lingua. Ci siamo trovati perfino a suonare per strada con una chitarra, seduti su un amplificatore a migliaia di chilometri da casa. Decine di persone davanti a noi ci ascoltavano e non sapevano in alcun modo chi fossimo e perché eravamo li. Volevamo solo scordare tutto quello che ci avevano insegnato fino ad oggi, dimenticare tutto ed essere nessuno”, racconta Achille Lauro.

Insieme al suo team No Face, dove con lui lavorano Boss Doms, Pitch8, Frenetik e un team di produttori e collaboratori, ha voluto immaginare e – poi – realizzare qualcosa di completamente nuovo, uno spunto creato dal nulla volgendo la creatività artistica dove nessuno prima aveva mai cercato prima.  Il singolo Amore Mì è accompagnato da un videoclip firmato dal regista visionario Trash Secco, che ha curato l’immagine del giovane artista di Roma sin dai primi video. Insieme all’artista e al suo team, ha plasmato un immaginario paradossale a metà tra una realtà neorealista pasoliniana e un cocktail psichedelico.

Supereva lo ha intervistato in una estiva ma ventosa giornata milanese, una di quelle in cui – tanto per parafrasare Lauro – “se sta’ na favola”.

Achille Lauro intervista Fonte: Redazione

Ovviamente non posso che iniziare dalla strettissima attualità: ci spieghi per bene e con calma cos’è successo con YouTube?

In pratica la visione del video di ‘Amore Mi’ è stata vietata ai minori di 18 anni, che in fondo può essere pure una scelta rispettabile, se non fosse che il video è completamente ‘clean’. Bisognerà vedere, adesso stiamo parlando con YouTube e cercando di capire cos’è successo.

Come te lo spieghi?

Guarda, in generale ci possono essere tante motivazioni, tra cui anche gente che ti segnala. Però YouTube è uno strumento su cui tantissimi artisti si appoggiano per promuovere la propria musica e di conseguenza fanno anche una certa promozione alla piattaforma. Alla luce di questo, ci dovrebbe essere un controllo migliore sulle segnalazioni: noi artisti diamo dei pacchetti già pronti col fiocco in ‘regalo’ ad una piattaforma che ci paga due soldi, ci aspetteremmo più tutele: situazioni come quella che si è creata sono un danno per noi. Tutto qui.

(Proprio nelle ora in cui veniva sistemata questa intervista che state leggendo, il video in questione è stato sbloccato da YouTube. Tutto è bene quel che finisce bene, nda.)

“Amore mi” è una novità assoluta sulla scena hip hop italiana. Per la prima volta ci troviamo di fronte a ritmi di musica samba mixati all’interno di una strumentale hip hop. Com’è nata l’idea?

È nato tutto da un viaggio che abbiamo fatto io e Boss Doms, il mio produttore. Siamo partiti lasciando i telefoni a casa, volevamo andare in giro cercando un po’ di influenze qua e là. Da questo viaggio, anche dalle esperienze che non c’entrano propriamente con la musica, è nata questa fusione di generi. Abbiamo iniziato creando un campione samba, poi abbiamo aggiunto questa batteria che richiama i ritmi francesi che vanno adesso. E’ stata la ricerca di un suono che fosse soltanto nostro, qualcosa che non esisteva, attingendo qua e là da ritmi e sound che ci sono piaciuti ma che in Italia ancora non erano arrivati. Prendi per esempio la prima parte del pezzo, quella coi tamburi un po’ “jungle”: quella deriva da un’esperienza precedente che Boss Doms ha avuto nella composizione di colonne sonore.

Sei sempre stato un precursore, non solo musicalmente parlando. Hai introdotto in tempi non sospetti un’estetica diversa da quello che era il modello predominante: per esempio, ti vestivi da donna in tempi in cui andava di moda lo street rap anni ’90, quello dei pantaloni larghi. Oggi invece è diventato lo standard, penso ad esempio alla Dark Polo Gang. Ti consideri un trendsetter?

Trendsetter lo sarei se mi andassi a studiare la cosa, ma per me è spontaneo. Nonostante abbia l’armadio pieno di vestiti di marca, credo che la moda si possa fare anche con due stracci. Adesso siamo trendsetter su questa cosa dell’outfit e del modo di fare, ma vedrai che la prossima astronave su cui tutti vorranno salire a bordo sarà questo sound, abbiamo pronti cinque o sei singoli pesanti.

Ecco, me l’hai servita su un piatto d’argento: “Amore Mi” è il preludio di un album?

Sì, sì. Più che di un solo album, di un periodo che sarà caratterizzato da questa influenza samba. Siamo pieni di materiale, ma non ci facciamo programmi: assecondiamo anche un po’ quello che succede. Vediamo fin dove arriva questo singolo e nel giro di poco tempo tireremo fuori tanti altri assi nella manica, sia per quanto riguarda il mio percorso che per quello del collettivo No Face.

Molto spesso – penso ad esempio al famoso video del pugno o a quello degli insulti con l’autotune – sei diventato virale tuo malgrado. Che rapporto hai con i social?

So benissimo che ad oggi i social sono fondamentali per curare l’immagine di un’artista e mi hanno anche aiutato tanto. Però li odio, vorrei bruciare il telefono. Quando sono partito per questo progetto, ho lasciato giù il telefono: sono stato talmente tanto senza che quando sono tornato non l’ho voluto per un mese. La gente con cui lavoravo mi doveva cercare sul telefono degli altri. Per me ammazza proprio l’arte: io sono uno che tiene molto all’ispirazione e il cellulare te l’annienta completamente. Ti rende un robot.

Quando intervisto un’artista, arriva sempre il momento in cui mi piace porgli una domanda politica. Nel tuo caso riguarda la tua Roma, tanto magica quanto problematica. Secondo te è ben amministrata?

Ma va, è completamente mal gestita, basta guardare i mezzi di trasporto pubblici o il dislivello tra centro e periferia: il centro è uno dei posti più belli del mondo, la periferia è follia pura. Una volta almeno c’era la vita notturna, come a Milano: non c’è neanche più quella, stanno chiudendo tutti i locali dove fanno musica live.

Da che quartiere arrivi tu?

Dal Tufello, quindi proprio far west, piazza di spaccio.

Hai vissuto per un periodo anche a Milano?

Io ho casa sia a Roma che a Milano. Ora l’analizzo dal punto di vista del mercato musicale: Milano ha il suo mercato musicale piano di opportunità, etichette, soldi, radio, qualunque cosa.
Paradossalmente, Napoli ha il suo mercato interno che vive solamente di vendite in Campania, tour in Campania e questo vale sia nel rap che nel neomelodico. Roma invece non ha niente, non ha neanche un mercato interno. Anzi, a Roma se fai successo stai sulle palle alla gente.

Però Roma, come ha la storia d’Italia, ha anche la storia dell’hip-hop: tutti i primi collettivi…

Però facci caso: secondo me le mode nascono un po’ a Roma e poi esplodono su Milano. E’ rimasto sempre un po’ tutto fermo, a Roma.

Sostieni di non aver mai ascoltato rap da piccolo, non ti sei mai definito un rapper, ora stai addirittura iniziando a contaminare il rap con altri generi. Non è che questo del rap è solo un momento di passaggio e in futuro ti sentiremo alle prese con tutt’altri generi?

Da ragazzino ho ascoltato rap solamente di riflesso, perché vivevo da solo con mio fratello e i suoi amici rappavano. Io mi sparavo tutt’altra roba, di qualunque genere: sono un amante della musica fatta bene, compreso l’hip-hop fatto bene. Sicuramente questa fase di contaminazione che abbiamo messo in atto è anche figlia dello sfinimento verso quello che stanno facendo tutti in questo momento storico. C’è già in programma – non ti nascondo – di prendere una casa al mare per un paio di mesi, far venire quattro o cinque produttori e musicisti, buttare via i cellulari e fare una roba tipo “Sex Pistols”, diciamo “british imbruttito”. Però questo è un passaggio successivo, arriverà sicuramente dopo la samba che continuerà a contaminare lo scenario per tutto il prossimo anno.

Quindi ti sei anche un po’ rotto del rap?

Ma di brutto, mi sono rotto totalmente. Addirittura ieri con Boss Doms stavamo facendo una cosa che ricordava la trap classica, ad un certo punto ci fermiamo e ci diciamo “Basta, va’. Metti su i campioni samba”.

Tregua.

Te lo giuro (ride). Alle due di notte, dopo cinque o sei ore che ci lavoravamo, abbiamo cambiato completamente. E’ venuta una figata.

Mi dici di più sullo pseudonimo Achille Lauro: c’è una ragione precisa?

Sì, c’è una ragione: di nome io mi chiamo Lauro e da quando ero ragazzino quello è stato il mio soprannome. Sai, l’Achille Lauro, la nave affondata…

Senti, ti volevo fare una domanda che non c’entra niente con la musica. Il tuo nome è circolato parecchio tra le anticipazioni dei concorrenti di Pechino Express, poi quando hanno comunicato le coppie è misteriosamente sparito: ci sarai o non ci sarai?

Non so perché abbiano scritto sta cosa. Comunque – in qualunque caso – non potrei dare notizie.

Ti trovi a tuo agio in tv?

Figurati, hai voglia! Dipende cosa: Pechino Express per esempio non è il Grande Fratello. Se ci vado con il ruolo mio e non devo recitare un copione, perché no. Per me la tv non è questa grande maledizione.

Per molti è un punto d’arrivo.

Non per me, perché voglio fare musica. Per me la televisione non è né un punto d’arrivo, né un punto di rottura. Sicuramente, per uno che viene dai quartieri di borgata finire in televisione è una cosa che fa sorridere, però ovviamente dev’essere contestualizzato: non vado a fare il tronista, vado a fare il musicista. La mentalità che la tv sia il male è una cosa anni ’90, un po’ come gli occhiali da donna.

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