Intervista a Ivan Federico, tra gli skater più forti al mondo

Abbiamo intervistato Ivan Federico, il ragazzo italiano che ad appena 18 anni è uno degli skater più forti al mondo

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Ivan Federico è un ragazzo italiano cresciuto – come tanti – in provincia e più precisamente a Caluso, che si trova “fra Torino e Ivrea, in quella zona lì”, puntualizza con uno spiccato accento piemontese. Il suo motto è Do It Yourself, ovvero Fallo Da Solo: “Qua in Italia se non ragioni così non combini un ca**o”, spiega deciso. E a quanto pare, il suo è stato un metodo vincente: secondo la classifica globale di The Boardr, a soli 18 anni Ivan è il 12esimo skater più forte al mondo (il terzo così giovane, dopo gli americani Tom Schaar e Cory Juneau) e in alcune categorie -come per esempio quella park – è addirittura tra i primi cinque. Nel 2016 ha ottenuto il primo posto a Vancouver al Vans Park Series e quest’anno si è imposto all’Australian Bowl, una delle gare più famose e allettanti del globo, puntando adesso ad una medaglia di Tokyo 2020, dove per la prima volta nella storia lo skateboarding sarà disciplina olimpica.

Ivan Federico Fonte: Redazione

Siamo riusciti ad intercettarlo durante una delle sue – sempre più rare – soste in Italia e abbiamo chiacchierato liberamente di ragazze, musica, tatuaggi e – ovviamente – di skate.

Settimana scorsa abbiamo intervistato Federico Gardenghi, il più giovane dj al mondo, esordendo con questa domanda: quanti aerei hai preso nell’ultimo anno? La ripropongo anche a te.

Mah, precisamente non lo so, almeno un centinaio.

Cos’è per te lo skate?

È uno sport, un’attività, qualcosa che ognuno può considerare a modo proprio. Io non ci metto un’etichetta, so solo che è quello che mi piace fare nella vita ed è quello in cui voglio ottenere dei risultati. Mi fa divertire e mi fa portare grana.

Alla fine è una cultura: considerarlo uno sport è forse riduttivo.

Concordo. Come anche lo snowboard e tutti gli altri sport estremi.

Stiamo parlando di stile, di cultura e di controcultura. E senti, quand’è che hai iniziato ad avvicinarti allo skateboarding?

La prima volta che ho messo i piedi sulla tavola avevo più o meno quattro anni, ero bello piccolo.

E come mai uno sport così particolare, così underground in Italia?

È stata una roba molto strana, mi hanno regalato una tavoletta giocattolo quando avevo più o meno quell’età. Siccome i miei vedevano che ero sempre lì sopra, me ne hanno presa una decente e mi hanno portato un po’ qui nei dintorni per skatare. Non è che ci ho pensato più di tanto: sapevo che era quello che mi divertiva e poi facendolo per anni, viaggiando, è diventata la mia vita.

Lo skate è uno sport solitario?

No, non è per niente solitario, anzi. Per me è solitario quando sono qua in Italia dato che non c’è nessuno del mio livello con cui possa skateare, per cui non ho motivazione. Però quando sono in America, sono sempre in gruppo. È uno sport che ti raggruppa, pur non essendo come gli altri sport di coppia nei quali sei insieme durante la gara. Lo skate è uno sport in cui sei sempre assieme, è divertimento di gruppo.

Premesso che esistono le skater femmine, in che misura è una cultura maschile?

In America ce ne sono un po’ di ragazze skater, anche se non tante quanto i maschi. E hanno delle belle palle, perché pigliano di quelle botte e sono parecchio forti. Poi vabbè, nel mondo del bowl è più difficile trovarle perché è un ambiente più aggressivo, ma ci sono tante streeter e alcune sono anche molto forti.

Sono anche fighe alcune skater, no?

Alcune, diciamo che è più facile trovarle brutte. C’è un gap: se sono fighe, sono tanto fighe. Sennò son brutte proprio (ride.)

Senti Ivan, con la scuola come facevi?

Adesso non vado più a scuola. Fino alle elementari sono andato normalmente, poi alle medie i miei – visto che in quel periodo che ho iniziato a viaggiare molto per l’Europa – mi hanno fatto fare home school. Dopodiché sono andato al liceo, ho fatto la prima ma mi hanno bocciato perché facevo troppe assenze, ho riprovato il secondo anno: la stessa storia. Allora ho lasciato perdere, anche perché lo stesso anno sono entrato a far parte del Vans Park Series e sono in giro per il mondo quasi tutto l’anno.

Diciamo che è un ragionamento che ti sei potuto permettere al tuo livello, ma che mi sentirei vivamente di sconsigliare a un ragazzo di quell’età che sogna una carriera nel mondo dello sport.

Sì, certo. Il patto è che tu investi il tuo tempo – fin tanto da smettere di andare a scuola – solo se hai delle vere e proprie opportunità tra le mani. Io in quel periodo avevo vinto il Vans Park Series, che iniziava ad essere il circuito più importante al mondo dato che è quello che sarà alle Olimpiadi. Ero lì con tutti gli skater più forti al mondo, ero al loro livello e solo a quel punto mi sono detto: “ok, adesso posso fare quello che voglio, guadagnando più soldi e divertendomi più di qualunque altro lavoro potrei trovare”.

Che rapporto hai con la tua città, ti ha favorito oppure ti ha ostacolato?

Diciamo che mi ha più ho ostacolato che altro. Nel mio paese c’è uno skatepark, che tra l’altro hanno costruito i miei dato che fanno quello di lavoro; circa otto anni fa hanno iniziato a costruirlo in due campi che erano praticamente abbandonati, solo che il comune non ha mai agevolato questa attività, anzi, hanno sempre creato problemi. Quindi sì, mi hanno di fatto messo i bastoni tra le ruote considerando quello che volevamo fare: se il comune ci avesse aiutati un minimo, a quest’ora avremmo uno skatepark bellissimo che avrebbe sicuramente attirato anche un sacco di gente.

Il tuo motto è “Do It Yourself”: vale anche per i tatuaggi?

Sì, mi piace un sacco farmi i tatuaggi. Adesso voglio farmene fare qualcuno da una mia amica che è una delle tatuatrici più brave che conosca, però sì, la maggior parte di quelli che ho me li sono fatto io. Un mio amico aveva comprato la macchinetta: ho iniziato a provarla e ci ho preso un po’ la mano. Poi sai, a me piace tanto disegnare, mi diverte.

Che musica ascolti?

Ascolto e ascoltavo la trap ancora prima che qua in Italia diventasse di moda, anche perché ero sempre in America e lì sono almeno quattro anni che gira. Adesso si sta evolvendo: inizia ad andare un genere trap ancora più spinto, più cattivo.

Alla XXXtentacion?

Esatto, va così adesso.

Ivan Federico Fonte: Redazione

C’è mai stato un momento nella tua carriera in cui hai pensato “chi ma l’ha fatto fare”?

Oh, sempre, fino a due anni fa più o meno. All’inizio non ero forte come adesso, anche quando andavo a fare le gare in America molti mi passavano avanti perché gli americani si allenano ogni giorno nelle strutture migliori. Anche con i soldi non mi aiutava nessuno, se non i miei. Poi boh, è successo che più o meno due anni fa è iniziato il Vans Park Series ed era open, ovvero potevano partecipare tutti. Nonostante ci fosse gente del calibro di Pedro Barros, nella prima tappa in Brasile sono arrivato secondo; da quel momento mi è partito il trip e ho cambiato tutto, anche lo stile: basti pensare che prima skateavo con protezioni, ero meno stilloso di adesso.

Hai iniziato a crederci di più.

Esatto. Poi da lì è andata sempre meglio.

Una volta che ti sei fatto male sul serio?

Mi sono fatto tanto male, tante volte.

Ma una in cui te la sei vista brutta?

Una volta – per fortuna non è stato niente di grave – mi sono spaccato quattro costole e pensavo di essermi bucato un polmone dato che per tre ore non riuscivo a respirare o a muovermi. Poi vabbè: ginocchia, caviglie, mi sono spaccato cinque volte un braccio…

Beh, un curriculum di tutto rispetto. Si guadagna bene a fare lo skater?

I soldi girano e anche tanti, ovviamente devi riuscire a entrare nella cerchia. Io per esempio ho il mio sponsor (Vans) che mi paga tutti i voli, i viaggi, le spese e anche uno stipendio. Poi ogni gara ha i suoi premi, il primo classificato mediamente prende fra i 30 e i 50 mila dollari. Io ne ho fatte un po’ e che dire, adesso sono abbastanza tranquillo per un po’. Poi vabbè, ci sono miei amici, tipo Pedro Barros e altri, che con gli sponsor prendono parecchi milioni di euro l’anno.

Parliamo un po’ di Tokyo 2020: rappresenterai l’Italia alle Olimpiadi?

Non ci sto ancora minimamente pensando perché sono abituato a considerare le gare nel breve periodo. Però sì, anche se ancora non so di preciso come funziona: probabilmente ci saranno delle qualificazioni qua in Europa.

Quello che è certo è che per la prima volta – nel 2020 a Tokyo – lo skateboarding sarà disciplina olimpica. Vuoi commentare questo avvenimento storico?

Secondo me è una gran cosa, soprattutto per l’Italia: porterà molta più gente ad appassionarsi allo skate e quindi per adesso non vedo aspetti negativi.

Sei preso bene?

Ovvio, ci sono di mezzo le Olimpiadi, non la prima minchiata. Per adesso penso a fare il mio, poi quando arriverà il momento ci penserò.

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