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Patatine fritte: cosa succede davvero al tuo corpo se le mangi spesso

Le patatine fritte sono una golosa tentazione, ma consumarle spesso può cambiare il corpo più di quanto si pensi. Scopri cosa rivela la scienza.

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Giuseppe Guarino

Giuseppe Guarino

Giornalista

Ph(D) in Diritto Comparato e processi di integrazione e attivo nel campo della ricerca, in particolare sulla Storia contemporanea di America Latina e Spagna. Collabora con numerose testate ed è presidente dell'Associazione Culturale "La Biblioteca del Sannio".

Croccanti, dorate, irresistibili. Le patatine fritte sono uno degli alimenti più amati al mondo, protagoniste assolute di pasti veloci, aperitivi e momenti di comfort food. Impagabili come contorno di un hamburger e deliziose anche in versione eretica sopra una bella pizza. La verità, però, è un’altra: dietro il loro sapore inconfondibile si nasconde un impatto sul corpo umano che va ben oltre le calorie. Diversi studi scientifici hanno infatti svelato cosa ci accade realmente se il consumo diventa frequente. E non è affatto bello.

Lo studio che ha svelato il legame tra patatine fritte e salute

Andiamo con ordine e partiamo dal principio. Un team internazionale guidato dall’Università di Harvard ha analizzato per 40 anni i dati di oltre 200mila persone sane, monitorandone abitudini alimentari e salute. L’obiettivo era capire in che modo il consumo di patate, in particolare in base al loro metodo di preparazione, influisse sul rischio di diabete di tipo 2.

I risultati hanno mostrato un legame che pare essere diretto: tre porzioni di patatine fritte a settimana sono state associate a un aumento del rischio del 20% di sviluppare il diabete di tipo 2, mentre lo stesso quantitativo di patate preparate in altri modi (bollite, al forno, schiacciate) comportava un rischio appena superiore al 5%.

La spiegazione sembra ovvia, ma risiede nell’elevato indice glicemico delle patate, che provoca quindi rapidi picchi di zucchero nel sangue, oltre che nel fatto che la frittura aggiunge ai tuberi stessi anche grassi saturi e calorie, peggiorando la risposta metabolica. Inoltre, bisogna aggiungere anche un ulteriore fattore: l’olio ad alte temperature può generare composti nocivi, come l’acrilammide, collegata a effetti negativi sulla salute.

Il quadro cambia di netto quando le patate vengono sostituite con cereali integrali: in questo caso il rischio scende fino all’8%, e addirittura del 19% se a essere eliminate sono proprio le patatine fritte.

Cosa significa il nuovo studio per la nostra alimentazione quotidiana

Nonostante i dati siano di tipo osservazionale — e quindi non dimostrino un rapporto di causa-effetto — il messaggio degli studiosi è chiaro: la frequenza e il metodo di cottura contano eccome.

In poche parole, possiamo affermare che in una dieta equilibrata, le patatine fritte dovrebbero restare un’eccezione, non una consuetudine.

Meglio sostituirle invece con patate al forno, bollite o schiacciate, dato che queste preparazioni riducono l’impatto sul metabolismo, mantenendo però il piacere di questo alimento. Meglio ancora se alterniamo le patate con cereali integrali, verdure e legumi, che offrono carboidrati a lento rilascio e un profilo nutrizionale più favorevole.

Le patatine fritte, però, non vanno demonizzate: possono far parte di un pasto condiviso o di una serata speciale. Ma un consumo regolare, ovvero corrispondente tre o più volte a settimana, è un’abitudine che la ricerca suggerisce di riconsiderare. Oltre alla salute, tra l’altro, c’è anche un aspetto ambientale: le patate hanno un’impronta ecologica più bassa rispetto ad altri carboidrati come il riso, ma quando fritte in grandi quantità di olio il loro impatto aumenta.

La soluzione giusta sta nel ridurre e nel consumarle consapevolmente, non nell’eliminarle. Basta un po’ di attenzione e, di tanto in tanto, possiamo godercele come sempre!

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