Fonte: Ansa

Stephen Hawking aveva una teoria agghiacciante sugli alieni che ora è plausibile grazie alla cometa 3I/ATLAS

La teoria “oscura” di Stephen Hawking sugli alieni non era solo fantascienza?

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Per anni Stephen Hawking ha rappresentato una delle voci più autorevoli, e spesso più prudenti, sulla possibilità che l’umanità possa un giorno incrociare civiltà extraterrestri. Nonostante fosse affascinato dalla ricerca di vita oltre la Terra, nutriva un timore profondo: che un contatto diretto non si sarebbe rivelato affatto positivo. Una sua teoria, discussa più di quindici anni fa, è tornata improvvisamente a circolare oggi, complice l’arrivo nel Sistema Solare della cometa 3I/ATLAS. Un oggetto celeste reale e confermato, ma che per settimane ha alimentato speculazioni e ipotesi legate agli alieni. E così le parole del fisico sono riemerse con una forza nuova.

Il timore che la storia si ripeta

Secondo Hawking, il rischio principale nel cercare o accogliere forme di vita avanzate è quello di cadere in un ingenuo ottimismo. In una famosa puntata della serie Into the Universe, nel 2010, aveva spiegato che l’incontro con una civiltà tecnologicamente superiore potrebbe ricordare ciò che accadde quando Cristoforo Colombo approdò nelle Americhe: un evento epocale per alcuni, devastante per altri. Hawking temeva che la stessa dinamica potesse ripetersi su scala cosmica.

Lui la definiva una semplice applicazione del buon senso: se una specie ha le capacità per viaggiare nello spazio profondo, ha sicuramente tecnologie tali da sopraffare chi è indietro di secoli. L’umanità, dunque, dovrebbe pensarci due volte prima di mandare segnali, messaggi o “inviti cosmici” che potrebbero attirare attenzioni indesiderate.

La “dark forest hypothesis”: un universo che fa paura

Tra le idee elaborate da Hawking, ce n’è una che oggi appare sorprendentemente moderna: la cosiddetta “dark forest hypothesis”, l’ipotesi della foresta oscura. Un’immagine tanto suggestiva quanto inquietante. Secondo questa visione, l’Universo assomiglia a una foresta buia: ogni civiltà è un viandante che cammina nel silenzio, sperando di non farsi notare, perché non può sapere se ciò che si nasconde dietro gli alberi è amichevole o ostile.

È un concetto già discusso nella comunità scientifica e reso celebre anche dalla fantascienza, ma Hawking lo considerava plausibile per spiegare il grande paradosso del cosmo: se l’Universo è così vasto e popolato di pianeti, perché non abbiamo mai incontrato nessuno?
La risposta possibile, per lui, era semplice e terrificante: forse nessuno parla perché chi fa rumore rischia di essere eliminato.

L’arrivo della cometa 3I/ATLAS e la riscoperta delle ipotesi di Hawking

Quando la cometa 3I/ATLAS è stata individuata mentre entrava nel Sistema Solare, molte persone hanno iniziato a speculare sulla sua natura. La NASA ha confermato senza esitazioni che si tratta di un oggetto naturale, la terza cometa interstellare mai osservata, ma le teorie alternative hanno avuto vita facile: un corpo celeste così raro, proveniente da un’altra regione della galassia, riaccende inevitabilmente le fantasie sull’esistenza di civiltà extraterrestri.

È in questo contesto che le teorie di Hawking sono tornate sulle prime pagine dei giornali. L’idea che un visitatore interstellare possa essere “qualcos’altro” ha spinto molti a ricordare quanto il fisico raccomandasse prudenza.
Non perché credesse che ogni segnale proveniente dallo spazio fosse un’allerta, ma perché riteneva altamente probabile che un’eventuale civiltà capace di raggiungerci non sarebbe necessariamente benevola.

Perché la teoria sembra oggi più plausibile

L’entrata di 3I/ATLAS nel Sistema Solare non dimostra nulla sugli alieni, ma ricorda quanto sia reale la possibilità che oggetti provenienti da altre stelle possano incrociare la nostra orbita. Ciò rende più tangibile, e meno teorica, l’idea di un contatto con qualcosa – o qualcuno – al di fuori del nostro pianeta.

Allo stesso tempo, l’evoluzione delle nostre tecnologie di ascolto e osservazione aumenta le probabilità di captare segnali cosmici ambigui, rendendo l’allarme di Hawking ancora attuale: non siamo preparati a gestire un incontro con una civiltà avanzata.

Hawking non aveva intenzione di alimentare panico, ma di proporre un approccio pragmatico. La curiosità è alla base della scienza, ma deve essere accompagnata dal realismo.
Prima di immaginare alleanze galattiche, diceva, dovremmo ricordare come la storia umana ha trattato i popoli più deboli quando due civiltà si sono incontrate con un forte divario tecnologico.

A distanza di anni dalla sua scomparsa, Stephen Hawking continua a influenzare il dibattito sul futuro della nostra specie nello spazio. L’arrivo della cometa 3I/ATLAS, per molti solo un fenomeno astronomico, ha riacceso l’attenzione sulle sue parole.
Forse non incontreremo mai civiltà aliene, ma se accadrà, Hawking ci ha già lasciato un ammonimento chiaro: la prudenza viene prima dell’entusiasmo.

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