Il tè matcha è una bevanda che si è rapidamente imposta nelle nostre dispense e, da diversi anni, è diventato uno dei superfood più in voga al mondo. Non è un caso: è ricco di antiossidanti ed è portatore di un meraviglioso storytelling grazie alla sua storia millenaria, celebrato ovunque e in ogni epoca per via dei suoi effetti benefici. Ma dietro l’immagine perfetta di questa meravigliosa polvere verde si nascondono alcuni aspetti meno noti ai più, legati alla sua produzione e soprattutto ai rischi di impatto ambientale che comporta.
- Il boom globale del tè matcha: un’esplosione di popolarità senza precedenti
- Il problema della produzione del tè matcha
- La corsa al tè matcha può danneggiare l’ambiente
- Non è tutto oro ciò che luccica: anche il matcha va bevuto con moderazione
Il boom globale del tè matcha: un’esplosione di popolarità senza precedenti
Sono infatti diversi anni che il tè matcha è diventato forse una delle bevande più popolari, superando i classici tè neri e verdi ma anche le più ineffabili tisane drenanti. A trainare questa popolarità ci hanno ben pensato i social e gli influencer, con tante celebrità del web e del mondo dello spettacolo che si sono dichiarate grandi fan. Basti pensare a Selena Gomez, a Serena Williams e a Lady Gaga.
Ad ogni modo, il consumo mondiale di matcha è cresciuto esponenzialmente e la produzione giapponese sta faticando a tenere il passo. Solo nel 2023, il Giappone ha prodotto oltre 4mila tonnellate di matcha, triplicando i livelli del 2010. Ma la domanda continua a superare l’offerta, con conseguenze sulla disponibilità del prodotto (e anche sulla sua qualità).
Il problema della produzione del tè matcha
La produzione del tè matcha, per definizione, è lenta e artigianale: le foglie vengono coltivate all’ombra, raccolte a mano e macinate lentamente con mulini in pietra.
Ogni passaggio richiede tempo e attenzione, oltre alle sapienti mani dell’artigiano che lo prepara. Per questo motivo, il matcha cerimoniale – quello di più alta qualità – è veramente raro e difficile da ottenere. La crescente richiesta della bevanda, però, ha portato a una scarsità che sta mettendo a dura prova i produttori tradizionali.
Località come Uji, patria storica del matcha giapponese, oggi faticano a soddisfare le masse di turisti a caccia di souvenir e confezioni pregiate. Il rischio è innanzitutto legato alla possibilità che la cultura del tè venga travolta dalla moda. Sempre più spesso, infatti, matcha di qualità destinata alle cerimonie viene usato per latti macchiati, dolci e gelati, impoverendo il senso originario del prodotto.
La corsa al tè matcha può danneggiare l’ambiente
L’aumento della domanda di tè matcha ha spinto alcune aziende a discostarsi dalla produzione artigianale, dirigendosi verso una produzione più intensiva, che rischia di compromettere seriamente la biodiversità e i metodi tradizionali.
Senza un modello di coltivazione sostenibile, il matcha rischia di perdere la sua autenticità. Dietro ogni tazza c’è una filiera delicata che merita rispetto, non solo per i suoi benefici, ma per il patrimonio culturale che rappresenta. E se il prodotto diventa industriale, tutta la sua storia va a farsi benedire.
Non è tutto oro ciò che luccica: anche il matcha va bevuto con moderazione
Il matcha è spesso descritto come un toccasana, ma un consumo eccessivo può interferire con l’assorbimento del ferro a causa dei tannini. Un suo abuso può portare a carenze nutrizionali, soprattutto nei soggetti più sensibili come bambini, donne in gravidanza o in chi soffre di anemia. Come per ogni alimento, la parola chiave è moderazione e consapevolezza. E, in questo caso, servono anche a far del bene a un mercato che rischia di compromettere seriamente una storia millenaria.