Italia: le uniche 2 regioni a rischio zero per i terremoti

Uno studio italiano indica le due macro-aree dove si attendono terremoti in futuro

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Stefania Cicirello

Stefania Cicirello

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Negli ultimi giorni, il mondo intero è stato scosso dalle notizie di un potente terremoto che ha colpito il Marocco, causando paura e distruzione. Questi eventi ci ricordano quanto sia importante comprendere il rischio sismico nelle diverse regioni del mondo. In Italia, il terremoto è un fenomeno noto e presente in gran parte del territorio nazionale. Tuttavia, esistono due zone in Italia dove il rischio sismico è praticamente assente.

Italia, le uniche due zone che non sono a rischio sismico

L’Italia è situata al confine tra la placca euroasiatica e la placca africana, ed è quindi soggetta a intensa attività sismica. Più dell’80% del territorio italiano è a rischio sismico, e le caratteristiche di questa attività variano da una zona all’altra. Le sette principali regioni sismiche italiane includono le Alpi nord-orientali, le Alpi occidentali, l’Appennino settentrionale, l’Appennino centrale, l’Appennino meridionale, l’Arco calabro, e la Sicilia. In queste regioni, gli eventi sismici sono una realtà che richiede costante attenzione e preparazione.

Tuttavia, esistono due eccezioni in Italia dove il rischio sismico è praticamente nullo: la Sardegna e il Salento. Queste due regioni possono essere considerate completamente asismiche, il che significa che la probabilità di subire un terremoto significativo è estremamente bassa. Questa è una notizia positiva per gli abitanti di queste aree, che possono vivere con una minore preoccupazione per i terremoti.

La Sardegna è geologicamente isolata dagli eventi sismici a causa della sua antica storia geologica. Questa regione non ha partecipato né all’orogenesi alpina né a quella appenninica ed è quindi immune alle forze tettoniche attuali che interessano altre parti dell’Italia. Tuttavia, va notato che in passato, la Sardegna ha registrato movimenti tellurici, spesso causati da vulcani sottomarini, ma tali eventi sono estremamente rari e di bassa intensità.

Il Salento, situato nella parte meridionale della Puglia, è un’altra regione italiana con bassissimo rischio sismico. Questa zona è situata lontano dai principali confini delle placche tettoniche e ha una storia geologica che la rende poco suscettibile agli eventi sismici. Gli abitanti del Salento possono quindi vivere con una maggiore tranquillità in termini di rischio sismico.

Il rischio sismico in Italia e il pericolo per tutta la nazione

È importante sottolineare che, anche se in queste due regioni il rischio sismico è praticamente nullo, l’Italia nel suo complesso rimane una zona sismica. È fondamentale essere sempre preparati e consapevoli del rischio sismico, specialmente nelle regioni più esposte. La costruzione di edifici antisismici e l’adozione di misure di sicurezza sono pratiche essenziali per proteggere la vita e la proprietà in caso di un evento sismico inaspettato.

Terremoti attesi in futuro in Italia: quali sono secondo i geologi

Attraverso un approccio dal carattere molto innovativo, si è evidenziata la proporzione attesa in futuro, tra il numero di eventi sismici di lieve e di forte entità in due macro-aree del territorio del nostro paese. Il rapporto esistente tra la quantità di piccoli e grandi terremoti, che sono stati oggetto di osservazione negli anni passati, e quindi attesi in Italia futuro – che in termini scientifici è chiamato B-value – è stato l’oggetto di uno studio dal titolo “Earthquake size distributions are slightly different in compression vs extension” che è stato condotto dai ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e successivamente pubblicato sulla rivista ‘Communications of Earth and Environment’ di Nature.

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia è un ente di ricerca scientifica italiano che si occupa dello studio della Terra e dei suoi fenomeni, con un’attenzione particolare verso i terremoti e i vulcani. Le principali attività dell’INGV includono il monitoraggio sismico, tramite una rete di sismometri in tutta Itali, il monitoraggio vulcanico soprattutto nei vulcani attivi come l’Etna e il Vesuvio; la ricerca scientifica per approfondire la comprensione dei processi geologici che portano a terremoti e eruzioni vulcaniche, infine la diffusione dell’informazione e avvisi sul rischio sismico e vulcanico alla popolazione, alle autorità locali e ai media.

Tornando allo studio, secondo la legge di Gutenberg-Richter, che è alla base della determinazione di questo prezioso lavoro scientifico, viene stabilito che il numero di terremoti osservati diminuisce con l’aumentare della magnitudo: in altre parole, si osserva un numero molto maggiore di piccoli terremoti rispetto a quelli di grande entità. I ricercatori dell’INGV che hanno condotto lo studio, hanno utilizzato dati geodetici ed un approccio di tipo statistico per comprendere, a partire dalla misurazione di piccolissime deformazioni della superficie terrestre, l’intensità delle forze tettoniche che governano il nostro Pianeta e la reazione che queste generano sulla crosta terrestre.

“La geodesia satellitare è uno strumento per noi fondamentale poiché consente di stabilire se, nel corso dei decenni, la distanza tra due punti della superficie terrestre in zone soggette a eventi sismici stia aumentando o diminuendo”, ha spiegato Michele Carafa, ricercatore dell’INGV e co-autore dello studio, che ha aggiunto: “A seconda dei casi, infatti, possiamo attenderci in futuro dei terremoti di tipo compressivo, se la distanza tra i punti sulla superficie terrestre sta diminuendo, oppure estensionale, se la distanza sta invece aumentando”.

Poiché il b-value non è spazialmente uniforme, ma può variare a seconda dell’area geografica di riferimento, lo studio dell’INGV ha analizzato parallelamente le zone in estensione e quelle in compressione dell’Italia, avendo come obiettivo quello di ottenere maggiori informazioni sul numero di forti terremoti attesi nelle due aree. “I valori di b-value emersi dal nostro lavoro sono effettivamente diversi per le due zone, ma molto più vicini tra loro di quanto si potesse pensare”, aggiunge Matteo Taroni, ricercatore dell’INGV e co-autore dello studio. “Ciò significa che il comportamento delle magnitudo dei terremoti in zone geologicamente differenti è in realtà abbastanza simile”.

A questo va detto anche che diversi calcoli statistici hanno poi confermato come l’approccio geodetico con la suddivisione del territorio nazionale in due sole zone di analisi abbia dato risultati più efficaci rispetto a suddivisioni precedenti in aree più piccole, aprendo la strada a possibili future collaborazioni tra il mondo della modellistica geodetica e quello della sismologia statistica.
“Poiché il b-value è uno dei parametri fondamentali utilizzati per la stima della pericolosità sismica di un territorio, ci auguriamo che altri lavori confermino i risultati del nostro studio, cosicché questo nuovo approccio possa essere utilizzato per migliorare il modello di pericolosità sismica italiano, vale a dire il documento alla base di tutte le azioni di mitigazione e prevenzione del rischio sismico nel nostro Paese”, concludono Taroni e Carafa.

 

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