Roma si stringe per dare l’ultimo saluto a Beppe Vessicchio, uno dei direttori d’orchestra più amati d’Italia. Con la sua barba bianca e il tono pacato, era diventato un simbolo di eleganza musicale e di profonda umanità. I funerali, celebrati nella Chiesa dei Santi Angeli Custodi, sono in forma privata, come avrebbe voluto lui: con discrezione, ma in un luogo in cui la musica vive e respira.
- La chiesa scelta per i funerali di Beppe Vessicchio
- Il legame profondo tra armonia e spiritualità
- La musica come medicina invisibile
- L’eredità di un uomo che credeva nell’armonia
La chiesa scelta per i funerali di Beppe Vessicchio
La chiesa scelta non è casuale. È un piccolo scrigno sonoro nel cuore di Roma, dove l’organo e il coro accompagnano le liturgie con una partecipazione viva. Qui gli angeli non sono soltanto figure sacre, ma presenze musicali: strumenti e voci che trasformano la preghiera in melodia. Un contesto che sembra fatto su misura per il maestro, che per tutta la vita aveva cercato di dare alla musica una funzione che andasse oltre il puro intrattenimento.
Il legame profondo tra armonia e spiritualità
Poche settimane prima della sua scomparsa, Vessicchio aveva condiviso un pensiero che oggi suona come una sorta di testamento artistico e spirituale: “La musica può salvarti la vita, e non è solo un modo di dire”. Non era una frase poetica, ma la sintesi di una filosofia che aveva coltivato per decenni.
Secondo lui, la musica era una forma di energia vitale, una vibrazione capace di riequilibrare corpo e mente. Non si tratta solo di emozione, ma di qualcosa di fisico, concreto. Le onde sonore, diceva, entrano in risonanza con i nostri tessuti, con le cellule, con la parte più intima del nostro essere. È una visione che unisce scienza e spiritualità, intuizione artistica e curiosità sperimentale.
Il maestro non aveva mai nascosto la sua fascinazione per la biologia del suono. Negli ultimi anni aveva studiato il modo in cui la musica influenza la crescita delle piante o la maturazione del vino, osservando come le frequenze potessero modificare la struttura molecolare dei liquidi o stimolare processi naturali. “La musica non si limita a parlare all’anima”, spiegava, “ma comunica anche con la materia”.
La musica come medicina invisibile
Per Vessicchio, il potere terapeutico della musica non era una teoria astratta. Aveva osservato come le persone trovassero conforto, energia e speranza semplicemente ascoltando o producendo musica. L’atto di suonare, o anche solo di ascoltare, può ridurre lo stress, regolare il battito cardiaco, migliorare la respirazione.
Ne parlava con un entusiasmo contagioso, sottolineando che la musica “guarisce perché ci riconnette al ritmo della vita”. Ogni melodia, per lui, era un modo per ristabilire equilibrio, una forma di armonia che si rifletteva nel comportamento umano. In questo senso, il suo modo di dirigere un’orchestra andava oltre la precisione tecnica: era un invito collettivo alla sintonia. Non a caso, molti dei suoi colleghi raccontano che nelle prove non si limitava a correggere gli errori, ma cercava di trasmettere calma e fiducia.
L’eredità di un uomo che credeva nell’armonia
Il suo approccio era profondamente olistico: vedeva nella musica una forza capace di unire ciò che la modernità separa – mente e corpo, scienza e spiritualità, uomo e natura. Credeva che l’arte potesse restituirci alla nostra essenza più autentica, quella che vibra all’unisono con il mondo.
La scelta della chiesa dei Santi Angeli Custodi, con la sua lunga tradizione corale e il simbolismo musicale degli angeli, chiude il cerchio: il direttore d’orchestra che per una vita ha “dato voce” alla musica, ora riposa in un luogo dove il suono diventa preghiera.