Le nostre convinzioni su Leopardi potrebbero essere sbagliate

Una nuova indagine su Giacomo Leopardi smentisce molte delle ricostruzioni sulla vita del poeta: ecco cosa ha scoperto il medico Erik Sganzerla

14 Gennaio 2019

Tutto quello che abbiamo sempre creduto sul conto di Giacomo Leopardi potrebbe non essere vero.

Secondo quanto riferito al “Corriere della Sera” da Erik Sganzerla, che da venticinque anni è il direttore del reparto di Neurochirurgia dell’ospedale San Gerardo-Università Bicocca, Giacomo Leopardi «Non era un depresso, non era uno sfigato come direbbero i ragazzi di oggi, non era affetto da malattia tubercolare ossea».

Il medico ha ricostruito la cartella clinica del poeta nel volume “Malattia e morte di Giacomo Leopardi”, che presenterà il 16 gennaio al liceo Mosè Bianchi a Milano. Nel libro sono pubblicate un paio di lettere di Leopardi che fanno parte della sua collezione personale, così come una prima edizione, corretta a mano dal poeta, di “All’Italia e Sopra il monumento di Dante”.

Erik Sganzerla è partito dalle 1.969 lettere della corrispondenza di Giacomo Leopardi per ricostruire le fasi della sua malattia. In questo modo, ha formulato una nuova ipotesi alternativa a quella fino ad ora più citata che fa riferimento a “Morbo di Pott” o spondilite tubercolare. Secondo lui, il poeta aveva una malattia genetica rara: la spondilite anchilopoietica giovanile.

Il neurochirurgo ha spiegato: «Dalle lettere sappiamo che Leopardi non è nato gracile e gobbo. Il fratello Carlo lo descrive come bambino vivace e leader nei giochi. La cifosi dorsale insorge dopo i 16 anni, come conferma il marchese Filippo Solari che scrive di aver lasciato “Giacomino di circa 16 anni sano e dritto” e averlo ritrovato dopo 5 anni “consunto e scontorto”».

I famosi sette anni di studio “matto e disperatissimo” in biblioteca, contribuirono ad aggravare la deformazione di Giacomo Leopardi, a cui si aggiunsero problemi di vista a fasi alterne, disturbi intestinali e complicanze cardiopolmonari. La morte del poeta arrivò il 14 giugno 1837, all’età di 39 anni, «Con tutta probabilità per scompenso cardiorespiratorio».

L’indagine esclude la diagnosi di «depressione psicotica». Il direttore della Neurochirurgia dell’ospedale San Gerardo-Università Bicocca ha spiegato a tal proposito: «La malattia ha influenzato i tratti caratteriali, ma non si può parlare di depressione in un uomo che viaggiò molto fino alla fine dei suoi giorni e continuò a creare moltissimo. Aveva tanti progetti da realizzare».

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