Incredibile scoperta: la mummia di 2.300 anni fa "torna in vita"

Dalla città egiziana di Luxor ai musei di Derby, la storia di Pa-Sheri, una mummia danneggiata dai Victorians e ora protagonista di un delicato proget

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Alessia Malorgio

Alessia Malorgio

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Una mummia egizia di 2.300 anni, conosciuta con il nome di Pa-Sheri, sta vivendo una nuova rinascita grazie al lavoro di due giovani studiose dell’Università di Lincoln, in Inghilterra. Dopo secoli di oblio e un passato di scoperte non sempre rispettose della storia egizia, la figura del misterioso uomo torna a parlare attraverso la scienza della conservazione.

Pa-Sheri, vissuto intorno al 300 a.C. durante il periodo tolemaico, proveniva dalla città di Luxor, una delle capitali spirituali dell’antico Egitto. Il suo corpo, avvolto in un raffinato cartonnage dipinto — una maschera funeraria composta da strati di lino e gesso — rivela il suo alto rango sociale.

Dall’Egitto all’Inghilterra vittoriana

La mummia di Pa-Sheri arrivò nel Derby Museums nel XIX secolo, periodo in cui l’archeologia era spesso mossa più dalla curiosità che dal rigore scientifico. È probabile, spiega la giovane restauratrice Ella Maude ai giornali britannici, che il corpo sia stato spacchettato in epoca Vittoriana, ma il motivo rimane incerto.

“Non sappiamo se sia stato per motivi scientifici o per i cosiddetti mummy unwrapping parties,” racconta Maude, “eventi mondani in cui le mummie venivano letteralmente scartate davanti a un pubblico curioso.”

Durante queste operazioni, Pa-Sheri fu gravemente danneggiato: la testa, il bacino e parte degli arti vennero rimossi, mentre le ossa delle braccia furono spostate nel torace. Per mascherare i danni, gli strati esterni delle bende furono riattaccati, e solo grazie a radiografie moderne si è potuta scoprire la reale entità delle manipolazioni.

Il lavoro di conservazione

Oggi, grazie a un progetto finanziato dal Pilgrim Trust, le studentesse Ella Maude ed Ella Monteiro, sotto la guida di un tecnico esperto, stanno conducendo un delicato intervento di conservazione preventiva.
Il loro obiettivo non è “ricostruire” Pa-Sheri, ma preservare e stabilizzare ciò che resta, rispettando la storia del reperto e le tracce del tempo. Da luglio, le due conservatrici lavorano per pulire, consolidare e documentare il corpo, utilizzando tecniche che uniscono scienza dei materiali, bioarcheologia e etica museale.

Dalla curiosità coloniale alla consapevolezza moderna

La vicenda di Pa-Sheri è anche una riflessione sull’evoluzione del nostro rapporto con il patrimonio culturale.
Se nel XIX secolo le mummie erano spesso oggetti di intrattenimento e collezionismo, oggi vengono trattate con rispetto e consapevolezza etica, riconoscendo loro la dignità di individui appartenenti a un’altra cultura. Pa-Sheri, rimasto nei depositi del museo dal 1859, diventa così un simbolo della transizione dalla spettacolarizzazione alla tutela, dalla curiosità al dialogo scientifico e culturale.

Un testimone del tempo

Il caso di Pa-Sheri mostra come anche un reperto danneggiato possa raccontare storie preziose di identità, memoria e scienza. Grazie all’impegno di due giovani studiose e a una rinnovata sensibilità, la mummia dell’uomo  misterioso di Luxor, torna a essere non un oggetto di esposizione, ma una voce del passato capace di parlare al presente.

La nuova vita dei morti dell’antico Egitto

La storia di Pa-Sheri è la prova che la conservazione museale non riguarda solo gli oggetti, ma anche le persone dietro di essi. Ogni bendaggio, ogni frammento di cartonnage, ogni imperfezione racconta non solo l’antichità egizia, ma anche i secoli di rapporti tra l’Occidente e l’Oriente antico.

Oggi, grazie a un approccio più scientifico, etico e umano, figure come Pa-Sheri vengono restituite alla storia con rispetto e conoscenza. La sua rinascita non è soltanto un atto tecnico: è un gesto di memoria, un modo per ridare dignità a chi la curiosità coloniale aveva violato. Un messaggio potente che parla a tutti: anche il passato più lontano può ancora insegnarci come guardare al futuro.

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