In Egitto, nel cuore del Sinai settentrionale, un team di archeologi ha riportato alla luce i resti di un’imponente fortezza di oltre 3.000 anni fa. A prima vista si tratta di un importante sito militare dell’antico Egitto, ma la sua posizione e la sua datazione hanno acceso un acceso dibattito tra studiosi e credenti: potrebbe essere una nuova tessera nel grande mosaico della storia biblica di Mosè.
Le rovine, scoperte nell’area di Tell El-Kharouba, si trovano esattamente lungo l’antica Strada di Horus, la via militare e commerciale che collegava l’Egitto alla terra di Canaan. È lo stesso percorso che, secondo il Libro dell’Esodo, gli Israeliti avrebbero evitato quando lasciarono l’Egitto guidati da Mosè: “Dio non li condusse per la via del paese dei Filistei, benché fosse la più breve”.
- La fortezza che custodiva il confine dell’impero
- Una scoperta che non conferma, ma avvicina
- Il misterioso messaggio “da Mosè”
- Tra scienza e mito
La fortezza che custodiva il confine dell’impero
La struttura è imponente: oltre 8.000 metri quadrati di superficie, 11 torri difensive e spesse mura in mattoni crudi, testimonianza della potenza militare egizia nel periodo del Nuovo Regno, tra il 1550 e il 1070 a.C. Gli scavi hanno riportato alla luce frammenti di ceramica, utensili di uso quotidiano e un manico d’anfora con inciso il nome del faraone Thutmose I (1506-1493 a.C.), segno che la fortezza era attiva in uno dei momenti di massima espansione dell’impero.
Gli archeologi hanno trovato anche tracce di pietre vulcaniche provenienti dalle isole greche e un grande forno per il pane con resti di impasto fossilizzato: piccoli dettagli che raccontano la vita quotidiana di soldati e operai di frontiera.
Ma è proprio la posizione geografica a rendere questo ritrovamento straordinario: la Strada di Horus è da sempre considerata una delle vie più probabili dell’Esodo biblico, un percorso che Mosè avrebbe evitato su indicazione divina, portando il suo popolo verso il deserto e il Mar Rosso.
Una scoperta che non conferma, ma avvicina
Gli studiosi sono cauti: la scoperta non rappresenta una “prova definitiva” dell’Esodo, ma rafforza l’idea che la narrazione biblica abbia radici in eventi e luoghi reali. La fortezza dimostra che, al tempo di Mosè, l’area era fortemente militarizzata e controllata dal potere egiziano. Questo spiegherebbe perché gli Israeliti non avrebbero potuto attraversare direttamente la zona, come raccontato nella Bibbia. Il ritrovamento del 2025 non riscrive l’Esodo, ma ne restituisce un contesto più preciso, fatto di strade, fortificazioni e uomini in armi.
Il misterioso messaggio “da Mosè”
Quasi in contemporanea, un’altra notizia ha alimentato l’interesse per la figura di Mosè: lo studioso indipendente Michael Bar-Ron ha riesaminato antiche iscrizioni proto-sinaitiche trovate nel sito minerario di Serabit el-Khadim, nel Sinai, risalenti a circa 3.800 anni fa.
Una di queste incisioni, secondo la sua interpretazione, conterrebbe la frase “zot m’Moshe”, cioè “Questo è da Mosè” in ebraico antico. Il testo sarebbe una dedica o un segno di appartenenza inciso da uno dei lavoratori semitici dell’epoca.
Le scritture proto-sinaitiche sono tra i primi esempi di alfabeto fonetico conosciuti, ma restano difficili da decifrare: gli studiosi più scettici invitano alla prudenza, ricordando che l’interpretazione è ancora oggetto di discussione. Ma se confermata, si tratterebbe del più antico riferimento scritto al nome di Mosè mai rinvenuto.
Tra scienza e mito
Le due scoperte non provano l’Esodo, ma riaccendono il dialogo tra scienza e spiritualità. L’archeologia non cerca di “dimostrare” la Bibbia, ma di capire fino a che punto essa si fondi su eventi concreti. E ogni pietra, ogni frammento, ogni parola incisa aggiunge profondità a un racconto che, da millenni, continua a parlare all’umanità.
Come ha dichiarato il ministro egiziano Sherif Fathy, “questo sito rivela nuovi capitoli della nostra storia militare, ma anche del nostro rapporto con la memoria più antica dell’uomo: la ricerca del divino, della libertà, e del passaggio dalla schiavitù alla speranza”.