Fonte: 123rf

Risolto il mistero dell'Isola di Pasqua: ecco chi ha costruito le teste di pietra 900 anni fa

Una nuova mappatura digitale rivela che i colossali moai furono scolpiti da piccoli clan familiari e non da una grande autorità centrale, riscrivendo la storia di Rapa Nui

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Alessia Malorgio

Alessia Malorgio

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Per diversi decenni dalla scoperta si è creduto che le gigantesche sculture dei moai dell’Isola di Pasqua fossero il frutto dell’opera di un potere centralizzato, capace di coordinare centinaia di lavoratori per scolpire e trasportare statue di oltre 12 tonnellate. L’idea di un’unica grande organizzazione sembrava l’unica spiegazione plausibile alla monumentalità di queste opere.

Tuttavia, un recente studio ha rivelato un quadro del tutto diverso: i moai non erano il risultato di un progetto collettivo su larga scala, ma piuttosto il frutto del lavoro di piccoli clan familiari, gruppi composti da pochi individui che agivano in autonomia e secondo tecniche proprie.

Un modello 3D che cambia tutto

La chiave di questa nuova interpretazione è un modello tridimensionale del grande cratere di Rano Raraku, la principale cava da cui veniva estratta la pietra. Il modello è stato ottenuto unendo ben 22.000 fotografie del sito, scattate tramite drone. Grazie a questa ricostruzione estremamente dettagliata, gli archeologi hanno potuto identificare almeno 30 diverse officine dove venivano lavorati i moai.

Non si trattava di un unico grande cantiere organizzato dall’alto, ma di una costellazione di piccole aree di lavoro, ognuna con tratti distintivi. Ogni clan sembrava possedere un proprio stile artistico, un proprio modo di scavare e modellare la roccia e persino un proprio settore della cava, delimitato non da confini politici ma dalle naturali forme del terreno.

Secondo il professor Carl Lipo, autore principale dello studio, osservare la cava dall’alto permette di vedere ciò che è impossibile cogliere camminando sul terreno: una serie di statue realizzate vicine tra loro, riconducibili a gruppi diversi, come se ogni famiglia avesse il proprio banco di lavoro.

Il ruolo dei clan nella produzione dei moai

La scoperta delle numerose officine indipendenti si inserisce in un quadro sociale che gli antropologi già sospettavano: l’isola non era governata da un’unica grande autorità, ma era suddivisa in molte piccole comunità familiari autonome.

Questi gruppi non producevano statue per un potere centrale, ma per onorare i propri antenati, mantenere il prestigio della famiglia e definire il proprio status sociale. Ogni moai diventava così un simbolo di identità e appartenenza, più che di autorità politica.

Tecniche di scultura e trasporto molto meno complesse del previsto

Lo studio ha inoltre confermato che la realizzazione di un moai non richiedeva un enorme dispiego di forze. Per scolpire una statua bastavano pochi artigiani specializzati, mentre il resto del clan forniva materiali, cibo e strumenti.

Anche per il trasporto le nuove scoperte smontano l’idea di un movimento titanico. Le statue, infatti, non venivano trascinate sdraiate ma fatte “camminare” in posizione verticale, grazie a corde legate ai lati della testa. Tirando alternativamente da un lato e dall’altro, i moai oscillavano leggermente e avanzavano con un movimento sorprendentemente naturale.

Esperimenti moderni hanno mostrato che questo sistema è straordinariamente efficiente: servivano appena 18 persone per far avanzare un moai per chilometri, e una volta avviato il movimento bastava tirare con una sola mano. Le strade concave costruite dagli abitanti di Rapa Nui contribuivano a stabilizzare la statua e a facilitarne la progressione.

 

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