I robot possono provare paura, proprio come noi

Secondo una ricerca scientifica in situazioni di stress i robot possono prova paura, proprio come accade a noi umani

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I robot possono provare paura quando sono sotto stress, proprio come accade agli umani. A svelarlo è uno studio condotto da un team di ricercatori italiani e inglesi, che hanno analizzato la nascita delle emozioni all’interno di un’intelligenza artificiale.

Lo studio, pubblicato sulla rivista “Plos One”, è stato realizzato dagli esperti dell’Università Federico II di Napoli e dell’Università di Plymouth, in Gran Bretagna. La ricerca è nata con lo scopo di capire come gli animali riescano a controllare la paura e a prendere decisioni giuste in situazioni di stress, ad esempio quando sono in cerca di cibo e rischiano di imbattersi in un predatore. 

Gli esperti hanno quindi creato un modello matematico formato da neuroni artificiali molto simili a quelli presenti nel cervello umano. In seguito hanno osservato come lo stress influisce sui robot. Il risultato è stato sorprendente? Di fronte ad uno stimolo pericoloso l’intelligenza artificiale reagisce, allontanandosi per poter evitare la situazione. “Si tratta di un comportamento primordiale associato alla paura che emerge in automatico anche nell’uomo e negli animali” ha svelato Orazio Miglino, direttore del laboratorio Natural and Artificial Cognition (Nac) dell’Università Federico II.

Ciò significa che anche i robot, proprio come noi, possono provare paura quando si trovano in una condizione di stress. Nonostante ciò le differenze con gli umani sono ancora molte. “Nell’uomo c’è anche una seconda fase di elaborazione per capire cosa sia successo – ha spiegato l’esperto -. Diciamo che i nostri robot si fermano alla prima risposta”.

Questa scoperta è fondamentale soprattutto perché in futuro potrebbe aiutarci a creare dei robot sempre più intelligenti e simili all’uomo. Tutte le emozioni, fra cui la paura, sono infatti connesse alla capacità di prendere decisioni, alla motivazione e soprattutto alla memoria. Lo studio dunque potrebbe essere il primo passo verso un nuovo tipo di intelligenza artificiale molto più sofisticata.

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