Da decenni, il pianeta Marte è oggetto di studi e missioni che provano a comprenderne il passato e a capire se abbia – in un’epoca più o meno remota – potuto ospitare la vita. Alcune immagini provenienti dal rover Curiosity, da questo punto di vista, hanno recentemente riacceso l’interesse per l’argomento, dato che mostrano una formazione naturale insolita e decisamente affascinante.
- Un indizio geologico della “vita su Marte” arriva dal cuore del Gale Crater
- La ricerca a lungo termine sul Pianeta Rosso
Un indizio geologico della “vita su Marte” arriva dal cuore del Gale Crater
Andiamo con ordine e partiamo con il dire che non si tratta di una prova diretta della presenza della vita su Marte, ma di un elemento che contribuisce a ricostruire la storia geologica e ambientale del Pianeta Rosso.
La scoperta si inserisce in un lungo percorso di indagine, fatto di piccoli passi e osservazioni che, sommate, stanno permettendo alla scienza di avvicinarsi a un quadro più chiaro delle condizioni che hanno caratterizzato Marte nei suoi primi miliardi di anni di esistenza.
Ad ogni modo, il 24 luglio scorso, il rover Curiosity della NASA ha fotografato nel Gale Crater una formazione rocciosa dalla forma complessa, paragonata da molti a un corallo. L’immagine ha rapidamente attirato l’attenzione, non solo per i suoi aspetti suggestivi, ma anche per le sue implicazioni scientifiche.
Secondo le analisi preliminari, la struttura non è frutto di attività biologica, bensì di processi geologici avvenuti miliardi di anni fa, quando Marte era un pianeta più umido. All’epoca, è assai probabile che dell’acqua ricca di minerali si infiltrasse nelle piccole fratture delle rocce, depositando sostanze solide. Con il tempo, la progressiva evaporazione dell’acqua avrebbe lasciato dietro di sé queste venature minerali, che sono poi state messe in evidenza da un’erosione prolungata dovuta al vento.
Gale Crater è un’area di grande interesse geologico. Le sue “boxwork formations” — reticoli di creste rocciose — raccontano di antiche acque sotterranee e forniscono indizi preziosi sulla transizione del pianeta da un ambiente potenzialmente ospitale a un deserto freddo e arido. La nuova formazione fotografata si aggiunge a questa narrazione, offrendo un ulteriore tassello per comprendere il ruolo dell’acqua nella modellazione del paesaggio marziano.
La ricerca a lungo termine sul Pianeta Rosso
La scoperta di questo cosiddetto “corallo marziano” si inserisce in un lavoro di osservazione che va avanti da anni e che ha già prodotto risultati significativi. Nel 2024, ad esempio, il rover Perseverance aveva individuato una roccia con forma di punta di freccia, caratterizzata da venature e depositi cristallini formati dall’azione dell’acqua, oltre a tracce di composti organici. Pur non costituendo una prova definitiva di vita, queste evidenze suggeriscono che in passato Marte abbia avuto condizioni compatibili con la presenza di microbi.
Il reperto individuato da Curiosity non dimostra l’esistenza di organismi, ma conferma che l’acqua — elemento chiave per la vita come la conosciamo — è stata presente in abbondanza sulla superficie e nel sottosuolo del pianeta. Ogni nuova osservazione contribuisce così ad affinare le ipotesi scientifiche, permettendo di distinguere tra formazioni dovute a processi puramente geologici e tracce che potrebbero indicare fenomeni biologici passati.
Insomma, non sappiamo se la vita su Marte ci sia effettivamente stata, ma pare che le condizioni affinché abbia potuto esserci ci sono tutte.