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C'è vita su Marte? L'annuncio epocale della NASA su altre forme di vita sul pianeta rosso

La NASA svelerà il mistero della vita su Marte? Grande attesa per scoprire il destino dei campioni raccolti dal rover Perseverance.

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Alessia Malorgio

Alessia Malorgio

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La corsa alla scoperta di segni di vita su Marte ha raggiunto un nuovo e affascinante traguardo. I campioni di suolo marziano raccolti con tanto impegno dal rover Perseverance potrebbero finalmente rivelare i loro segreti. Tuttavia, il destino di questi campioni è ora avvolto dall’incertezza, con il futuro della missione Mars Sample Return (MSR) sospeso su un filo sottile. Avremo finalmente notizie sull’eventuale esistenza della vita su Marte? Quale sarà il loro destino?

Vita su Marte: grande attesa per l’annuncio della NASA

Andiamo con ordine e partiamo dal principio. Alle 19:00 ora italiana di oggi, lunedì 15 aprile 2024, la NASA terrà una conferenza stampa destinata a gettare luce sul destino di questi preziosi campioni di Marte. Il Mars Sample Return (MSR), un ambizioso progetto congiunto tra la NASA e l’Agenzia Spaziale Europea (ESA), ha subito varie battute d’arresto lo scorso anno a causa di problematiche di bilancio e tecniche. La riduzione del personale coinvolto nel progetto ha aggiunto ulteriori sfide al suo obiettivo.

Ma, in questa serie di difficoltà, sembrano esserci anche una serie di problematiche diverse. La conferenza di stasera, per questo motivo, promette di fornire dettagli cruciali su come la NASA intende procedere con questa complessa missione.

Cosa ha raccolto il Rover Perseverance sul suolo marziano?

Il rover Perseverance è atterrato nel cratere Jezero di Marte poco più di tre anni fa, un luogo che gli esperti ritengono fosse un tempo il fondo di un lago. I sedimenti presenti in questo cratere potrebbero contenere preziose informazioni sulla presenza passata di vita sul pianeta rosso. Da quando ha iniziato a esplorare il cratere, il rover ha raccolto una trentina di campioni di roccia, suolo e persino atmosfera marziana, conservandoli in apposite capsule progettate per resistere alle estreme condizioni ambientali del pianeta rosso.

Il piano originario prevedeva il recupero di queste capsule entro il 2033 tramite una complessa serie di missioni che coinvolgevano l’atterraggio di una sonda marziana, il prelievo dei campioni e il loro trasferimento sulla Terra. Tuttavia, l’attuazione di questo piano si presenta molto più difficile di quanto previsto, considerando le numerose variabili e le complessità tecniche coinvolte.

Cosa rivelerà la conferenza della NASA prevista per il 15 aprile?

La conferenza di stasera della NASA potrebbe rivelare nuove prospettive su come affrontare queste sfide e il futuro della ricerca sulla vita marziana. Sia che si tratti di rivedere il piano originale o di sviluppare nuove strategie innovative, una cosa è certa: l’umanità è determinata a sondare i misteri del nostro vicino cosmico, con la speranza di rispondere alla domanda se “c’è vita su Marte”.

Cosa ha scoperto finora il rover Curiosity?

Mentre in precedenza aveva rivelato solo alcune tracce organiche nella sabbia e nel fango ormai secco, il rover Curiosity ha recentemente permesso di analizzare un antico modello di crepe tra le pietre fangose di Marte risalenti a ben 3,6 miliardi di anni fa.

Gli scienziati hanno sfruttato i dati raccolti da Curiosity nel Gale Crater, un’area che si pensa sia stata un lago marziano in tempi remoti, ormai completamente disseccato. Le evidenze dei cicli di bagnato e asciutto emergono dalle caratteristiche crepe geometriche – pentagoni ed esagoni – trovate tra le pietre fangose. Gli esperti spiegano che queste crepe, a forma di “T” quando il fango si asciuga, si trasformano in strutture a forma di “Y” quando l’acqua ritorna, creando alla fine una struttura esagonale.

L’alternanza di questi cicli – dovuti a ripetuti prosciugamenti e alluvioni del lago primordiale – potrebbe avere un impatto significativo sulla formazione delle crepe. La concentrazione di sale all’interno di queste crepe, a causa dell’evaporazione dell’acqua, ha portato alla cristallizzazione di minerali. Questi ambienti salini, ricchi di molecole organiche, potrebbero aver creato le condizioni necessarie per il processo di polimerizzazione, in cui le molecole organiche si uniscono formando catene più lunghe. Questo fenomeno potrebbe aver innescato una chimica spontanea che avrebbe potuto avviare la complessa evoluzione chimica che alla fine ha portato alla vita.

Vita su Marte, le speranze per il futuro

Poco tempo fa sul pianeta rosso sono state rinvenute, sul fondo di un cratere, delle molecole organiche. Idrogeno e carbonio che potrebbero indicare la presenza, in passato, di forme di vita. Gli scienziati come sempre sono cauti, e sostengono che potrebbero anche essere state portate da un meteorite, o essere frutto di processi geochimici, e non biologici come si spera.

Secondo Teresa Fornaro, astrobiologa dell’Osservatorio di Arcetri dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, i composti organici “potrebbero derivare da antiche forme di vita anche molto elementari, come microrganismi, e nel corso di miliardi di anni potrebbero essere state alterate dai raggi cosmici che bombardano la superficie del pianeta”. Sicuramente un tempo Marte era pieno di acqua e lo testimoniano gli enormi depositi di ghiaccio rilevati nel sottosuolo.

Al di là di Marte, c’è un’altra regione dell’universo che affascina scienziati e ricercatori: gli esopianeti, pianeti che orbitano attorno a stelle diverse dal nostro Sole e che presentano somiglianze con la Terra, potenzialmente capaci di ospitare forme di vita. Tra questi, uno dei candidati più promettenti è K2-18b, individuato inizialmente dal telescopio spaziale Hubble e ora oggetto di studio approfondito da parte del James Webb, situato a circa 120 anni luce dalla Terra.

Le osservazioni finora condotte su questo esopianeta hanno rivelato la presenza di metano e anidride carbonica, oltre alla possibilità di acqua liquida sulla sua superficie. Ancora più intrigante è la scoperta di tracce di una molecola chiamata dimetilsolfuro, che sulla Terra è prodotta esclusivamente da organismi viventi come il fitoplancton, una forma vegetale di vita presente negli oceani.

Sebbene non sia ancora stata scoperta una prova definitiva di vita su Marte, queste nuove scoperte aprono ulteriori prospettive sulla possibilità che il pianeta rosso abbia ospitato le condizioni necessarie per l’emergere della vita. Il futuro è promettente, con il programma Mars Sample Return che punta a raccogliere campioni da Marte dal 2030 in poi, consentendo una migliore comprensione della storia del pianeta e della potenziale presenza di forme di vita primitive.

NASA e ricerca della vita su Marte

C’è vita su Marte ed un video della Nasa lo dimostrerebbe. A scatenare le fantasia di tutti coloro che credono nell’esistenza di una forma di vita aliena è stato un filmato diffuso dalla Nasa. Il video riguarda l’ultima missione su Marte della sonda Curiosity, che ha effettuato alcuni rilievi sul pianeta rosso.

Nella clip la sonda analizza il terreno, ma non appena inizia a smuovere le rocce di Marte si vede spuntare quello che sembra un insetto. Si tratta di una piccola massa nera che sbuca dalle profondità della crosta rocciosa di Marte per sfuggire poi via. Il filmato è stato girato il 29 gennaio 2015, mentre Curiosity prelevava alcuni campioni di superfice da Marte, e sta scatenando le fantasia degli studiosi e degli appassionati di mistero.

Dopo essere stato pubblicato sul sito web della NASA, il video è stato riproposto sul canale Youtube Mars Alive dove i movimenti misteriosi della creatura che sbuca dalle profondità di Marte, hanno dato vita a dibattiti e teorie. La clip è diventata virale e in tanti si chiedono cosa sia la creatura che sbuca dalle viscere del Pianeta Rosso, ma soprattutto se sia davvero un insetto. Secondo molti si tratterebbe di una sorta di scorpione con le gambe, per altri invece è solamente un detrito creato da Curiosity durante lo scavo e sospinto dalla forza del trapano. Il dibattito per ora è aperto e le teorie si fanno di ora in ora più intricate.

D’altronde Marte sembra essere l’ultima frontiera della conquista umana e il primo paese che probabilmente verrà colonizzato dall’uomo. Qualche giorno fa a confermarlo è stato lo stesso Barack Obama, che ha annunciato l’arrivo degli Stati Uniti sul Pianeta Rosso nel 2030. Mentre l’imprenditore Alan Musk da anni sogna di approdare su Marte e presto il suo sogno potrebbe divenire realità con il progetto SpaceX.

Esistono nuove forme di vita?

L’esplorazione della vita al di là dei confini terrestri ha da sempre affascinato e alimentato l’immaginazione collettiva, spingendo scienziati e ricercatori a scrutare le immense distese dell’universo alla ricerca di indizi che possano confermare l’esistenza di forme di vita extraterrestre. In questa continua ricerca, la scienza ha compiuto notevoli progressi grazie all’evoluzione delle tecnologie e all’introduzione di strumenti sempre più sofisticati e precisi. La recente scoperta di un innovativo sistema per il rilevamento dei segni di vita segna un fondamentale passo avanti in questo ambito, aprendo nuove prospettive per la comprensione della vita su altri pianeti.

Negli ultimi decenni, il progresso delle tecnologie ha consentito di esplorare i remoti angoli del nostro sistema solare e oltre, impiegando telescopi di ultima generazione, satelliti avanzati e rover dotati di strumenti all’avanguardia. Questi strumenti hanno individuato gli elementi fondamentali della vita in varie località extraterrestri, stimolando l’immaginazione di scienziati e appassionati. Tuttavia, fino a ora, la conferma definitiva dell’esistenza di vita al di fuori della Terra è rimasta un obiettivo sfuggente, con molteplici indizi ma nessuna prova inconfutabile.

La nuova svolta nell’astrobiologia potrebbe presto cambiare questa situazione. Un team di ricercatori presso il Carnegie Science Earth and Planets Laboratory ha sviluppato un innovativo strumento, potenzialmente rivoluzionario, capace di analizzare la composizione fisica dei campioni con un’affidabilità del 90% nel determinare se siano di natura biotica o abiotica. Questo strumento, se integrato su satelliti o rover, potrebbe rivoluzionare l’approccio alla ricerca di vita su altri pianeti, fornendo agli astrobiologi uno strumento fino ad ora considerato fantascienza.

Il metodo impiegato da questo nuovo strumento si basa sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale (IA) per analizzare i campioni a livello atomico e molecolare, individuando le sottili differenze nei modelli molecolari che distinguono i materiali biotici da quelli abiotici. Il processo inizia con un’analisi gascromatografica di pirolisi, che scompone il campione nelle sue componenti base per poi identificarle singolarmente. Successivamente, uno spettrometro di massa determina i pesi molecolari dei componenti, e questi dati vengono analizzati da un’intelligenza artificiale addestrata su dati multidimensionali provenienti da campioni noti, sia biotici che abiotici.

Questa tecnologia ha dimostrato di essere in grado di identificare con successo una vasta gamma di campioni, viventi e non, con una precisione eccezionale. I campioni analizzati includono materiali organici moderni, come conchiglie, denti, ossa, insetti, foglie, riso, capelli umani e cellule conservate in rocce, così come materiali geologicamente processati come carbone, petrolio, ambra e fossili. Allo stesso modo, sono stati esaminati campioni abiotici, inclusi composti chimici puri e meteoriti ricchi di carbonio.

L’importanza di questa scoperta va oltre la semplice identificazione della natura biotica o abiotica dei campioni. La capacità dell’IA di distinguere tra materiali biotici viventi e fossili apre nuove prospettive nella comprensione delle origini della vita e nella ricerca di vita su altri pianeti. Questo strumento non solo facilita l’individuazione di segni di vita passata o presente su altri corpi celesti, ma promette anche di essere in grado di riconoscere forme di vita radicalmente diverse da quelle terrestri, ampliando significativamente il nostro orizzonte di ricerca nel vasto universo.

Inoltre, l’applicazione di questo strumento potrebbe rivelarsi cruciale nell’esaminare campioni provenienti da Marte o da altri pianeti e lune, fornendo indicazioni preziose sulla possibile presenza passata o attuale di vita. L’impiego di sensori intelligenti su veicoli spaziali robotici, lander e rover potrebbe accelerare notevolmente la ricerca di vita extraterrestre, offrendo nuove chiavi di lettura sulle complesse dinamiche che regolano l’esistenza di forme di vita al di fuori della Terra.

La ricerca della vita su altri pianeti sta per entrare in una nuova era, grazie allo sviluppo di tecnologie capaci di esplorare in modo più profondo e accurato la composizione dei campioni extraterrestri. Questo progresso non solo promette di accelerare la scoperta di forme di vita al di fuori della Terra, ma offre anche la prospettiva entusiasmante di comprendere meglio le leggi fondamentali che governano l’esistenza della vita nell’universo. Con questa nuova frontiera dell’astrobiologia, ci avviciniamo sempre di più a risolvere uno dei più grandi misteri della scienza: siamo soli nell’universo?

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