Un tempo erano solo teorie affascinanti da romanzo di fantascienza. Oggi, invece, le ipotesi sull’esistenza di vita su Marte prendono una piega molto più concreta. La NASA ha infatti annunciato di aver individuato quella che definisce come la prova più chiara mai registrata finora della possibile esistenza di forme di vita sul Pianeta Rosso. Un’affermazione forte, che si aggiunge a una scoperta ancora più suggestiva: gli scienziati ora ipotizzano anche come potessero apparire i primi abitanti marziani.
- La scoperta annunciata dalla NASA
- Come appariva la vita aliena primordiale
- Lo studio sui campioni raccolti: nuove risposte in arrivo?
La scoperta annunciata dalla NASA
Tutto parte dal rover Perseverance, che dallo scorso anno esplora la zona di Neretva Vallis, un’antica regione fluviale all’interno del cratere Jezero, nei pressi dell’equatore marziano. Qui, gli scienziati hanno osservato delle curiose formazioni circolari, ribattezzate “leopard spots” – macchie di leopardo – per la loro forma tondeggiante e la colorazione rugginosa. Secondo quanto riportato dal responsabile NASA Sean Duffy, queste macchie non sarebbero semplici alterazioni del terreno, ma piuttosto possibili tracce lasciate da forme di vita microbica antichissime, risalenti a miliardi di anni fa.
Gli studiosi, pur sottolineando che ci si muove ancora nel campo delle ipotesi, hanno cercato di rispondere a questa domanda. L’ambiente marziano è estremo: temperature che oscillano dai 20°C di giorno ai -150°C di notte, un’atmosfera sottile, quasi priva di ossigeno, e un’esposizione elevata alle radiazioni cosmiche, dato che Marte non possiede un campo magnetico protettivo come quello terrestre.
Come appariva la vita aliena primordiale
In un simile scenario, solo organismi molto semplici, come i batteri, avrebbero potuto sopravvivere. Non si parla dunque di omini verdi con antenne, ma di microbi resistenti, capaci di adattarsi a condizioni limite, forse simili ad alcune forme di vita estreme già presenti sulla Terra, come quelle che prosperano nei fondali oceanici vicino alle sorgenti idrotermali.
Gli scienziati non escludono del tutto che forme di vita leggermente più complesse possano essersi evolute in nicchie favorevoli, magari sotterranee o protette da rocce e ghiaccio. In quel caso, queste creature avrebbero probabilmente sviluppato caratteristiche ad hoc: pelle spessa, capacità di sintetizzare energia in modo alternativo, strutture cellulari estremamente resistenti.
Queste considerazioni non derivano solo da fantasia o suggestione. La scoperta delle “leopard spots” è accompagnata da analisi chimiche dettagliate, che hanno rilevato la presenza di minerali come la vivianite e la greigite, tipicamente associati – almeno sulla Terra – a processi biologici. Insieme a questi, anche tracce di fosforo, ferro, zolfo e composti organici, tutti elementi fondamentali per la vita.
Lo studio sui campioni raccolti: nuove risposte in arrivo?
Certo, si tratta ancora di indizi. Nessuna prova definitiva, nessun fossile marziano in bella vista. Ma per la NASA, è il segnale più promettente mai raccolto. Il prossimo passo sarà riportare i campioni sulla Terra per analisi più approfondite. E da lì, chissà, forse la conferma che non siamo mai stati davvero soli nell’universo.
Intanto, ci si interroga: se la vita ha avuto origine su Marte miliardi di anni fa, che fine ha fatto? È scomparsa? Si è evoluta? Potrebbe esistere ancora, nascosta sotto la superficie? Domande che oggi non hanno ancora risposta, ma che la missione Perseverance – e le future esplorazioni – cercheranno di chiarire. Quel che è certo, è che la frontiera marziana è più vicina che mai. E con essa, anche la possibilità di riscrivere tutto ciò che sappiamo sull’origine della vita nello spazio.