A volte basta un profumo per far riaffiorare un momento lontano, mentre non ricordiamo neppure cosa abbiamo mangiato ieri. La domanda è antica, ma sempre valida: come decide il nostro cervello quali ricordi conservare e quali invece lasciare andare? Secondo un nuovo studio della Rockefeller University, pubblicato sulla rivista scientifica Nature, la selezione non è affatto casuale. Nel nostro cervello esiste un sistema di “timer molecolari” che agiscono in diverse aree e determinano quanto a lungo un ricordo merita di restare attivo. Non un interruttore acceso/spento, ma un processo graduale, simile a quando scegliamo cosa vale la pena trattenere nella nostra vita.
- Esperienze ripetute e ricordi che durano
- I geni che proteggono i ricordi: Camta1, Tcf4 e Ash1l
- Verso nuove terapie contro perdita di memoria e Alzheimer
- Il prossimo mistero: cosa fa scattare il “timer” della memoria?
Esperienze ripetute e ricordi che durano
Per scoprirlo, i ricercatori hanno fatto camminare dei topi in una realtà virtuale. Quando un’esperienza si ripeteva più volte, il cervello la etichettava come significativa e la conservava più a lungo. Gli episodi isolati e poco rilevanti venivano invece abbandonati rapidamente, come un messaggio indesiderato che archiviamo senza pensarci troppo. Come spiega la neuroscienziata Priya Rajasethupathy, la memoria non è fissa: si costruisce, si rinforza, si indebolisce. Alcune memorie durano come relazioni solide, altre evaporano in un weekend.
I geni che proteggono i ricordi: Camta1, Tcf4 e Ash1l
Utilizzando una tecnologia di editing genetico che permette di modificare in modo preciso il DNA di cellule e organismi chiamata CRISPR, il team ha silenziato specifici geni nel talamo e nella corteccia per capire quali molecole permettono ai ricordi di restare. Il risultato? Ogni gene controlla la durata della memoria, quasi come se proteggesse frammenti preziosi della nostra esperienza.
Tre geni sono risultati fondamentali: Camta1, Tcf4 e Ash1l.
- Camta1 è il primo ad attivarsi, fornendo un appoggio iniziale alla memoria.
- Tcf4 rinforza il collegamento tra talamo e corteccia, stabilizzando l’informazione.
- Ash1l modifica la cromatina, “blindando” il ricordo come in una cassaforte.
Quando uno di questi tre ingranaggi viene meno, la memoria si indebolisce o scompare più rapidamente. Sorprendentemente, Ash1l appartiene a una famiglia di proteine attive anche nella memoria immunitaria: le stesse strategie che ci permettono di ricordare un’infezione vengono usate per ricordare un momento della nostra vita. Una sorta di “biologia riciclata”.
Verso nuove terapie contro perdita di memoria e Alzheimer
Questa scoperta apre spiragli importanti anche per la medicina. Se si potessero rinforzare i passaggi della memoria successivi all’ippocampo, sarebbe possibile compensare i danni prodotti da malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Come spiega Rajasethupathy, se il primo anello della catena mnemonica si deteriora, conoscere i passaggi successivi permette di spingere il cervello a usare vie alternative, più resistenti e funzionali. Proprio come deviare il traffico su una strada più sicura quando quella principale è impraticabile.
Il prossimo mistero: cosa fa scattare il “timer” della memoria?
Resta da capire che cosa attiva i timer molecolari. È l’emozione? La ripetizione? Lo stress? La rilevanza sociale?L’obiettivo del laboratorio è identificare i segnali che fanno sì che il cervello decida: “Questo ricordo vale la pena di conservarlo”. Perché, in fondo, siamo tutti un po’ spettatori della nostra mente. E ora sappiamo qualcosa in più su come il cervello sceglie quali pezzi della nostra vita meritano davvero un posto nella nostra memoria.