Come preparare la camomilla? La camomilla è uno di quei piccoli rituali che accompagnano milioni di persone, soprattutto alla sera, quando la giornata rallenta e cresce il bisogno di calma. È considerata un rimedio naturale, quasi istintivo, capace di rasserenare, favorire il riposo e allentare le tensioni. Ma proprio la sua semplicità nasconde un dettaglio che quasi tutti ignorano: la bevanda, per quanto diffusa e familiare, può essere facilmente compromessa da un gesto apparentemente innocuo.
Molti, infatti, credono che la camomilla sia una tisana “che non può riuscire male”, qualcosa che basta lasciare in tazza finché l’acqua non si raffredda. Eppure, gli esperti confermano che un errore molto comune rischia di alterarne sia il gusto sia le proprietà benefiche. È un errore così frequente da essere diventato la norma: lasciare la camomilla in infusione troppo a lungo.
Quando l’infusione diventa un boomerang
Quello che dovrebbe essere un momento di dolcezza e rilassamento può trasformarsi in un’esperienza opposta se la bustina viene lasciata nell’acqua per tempi eccessivi. Con il prolungarsi dell’infusione, la camomilla rilascia quantità crescenti di tannini, sostanze naturali presenti nella pianta che, oltre una certa soglia, producono un gusto amarognolo e persistente, spesso associato a una sgradevole sensazione “astringente”.
Molti associano questo sapore più deciso a una tisana più “forte”, ma in realtà si tratta di una distorsione organolettica che nulla ha a che vedere con un maggiore effetto rilassante. Al contrario, una camomilla troppo amara può risultare meno piacevole, inducendo a bere più in fretta o addirittura a non terminarla, vanificando il rituale di calma che dovrebbe rappresentare. Il punto centrale è che la pianta della camomilla, a differenza di altre erbe, sprigiona i suoi composti benefici in pochissimo tempo: superare quella finestra ideale significa perdere equilibrio, delicatezza e qualità.
L’origine del fiore e il suo valore
Per comprendere meglio perché la camomilla necessiti di tanta attenzione, è utile ricordare da dove proviene il suo fiore e quali caratteristiche botaniche lo rendono tanto prezioso. La camomilla più utilizzata nelle tisane è la Matricaria chamomilla, nota anche come camomilla comune o camomilla tedesca, una pianta erbacea spontanea originaria dell’Europa orientale e del Vicino Oriente, ma ormai diffusa in tutto il continente e coltivata anche in Asia, Nord Africa e Nord America.
I suoi caratteristici fiori bianchi con il cuore giallo, simili a piccole margherite, sono ricchi di oli essenziali, tra cui bisabololo e camazulene, sostanze responsabili delle note proprietà lenitive, antinfiammatorie e calmanti. È proprio la delicatezza di questi composti a rendere fondamentale una preparazione corretta: si degradano facilmente con l’eccesso di calore o con infusioni troppo lunghe, motivo per cui la camomilla richiede un trattamento più rispettoso di quanto si creda.
Nelle tradizioni popolari europee, il fiore era considerato un rimedio femminile per eccellenza — da qui il nome “Matricaria”, legato alla parola latina mater, madre — ma anche una pianta protettiva, bruciata nelle case per favorire serenità e buon riposo. Oggi, nonostante sia diventata una bevanda quotidiana e industrialmente diffusa, conserva la medesima nobile eredità di un passato erboristico ricco e affascinante.