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Pompei: scoperto abbraccio gay di 2mila anni fa grazie al DNA

Risolto il mistero degli amanti: secondo un test del DNA sarebbero una coppia gay

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Forse è l’abbraccio di due uomini, il calco riportato alla luce a Pompei anni fa e mai analizzato. A svelare l’esistenza di un amore omosessuale nella città distrutta dall’eruzione del Vesuvio sono stati alcuni test del DNA che hanno permesso di stabilire che le due figure morte abbracciate non sono un uomo e una donna, come si era pensato inizialmente, né madre e figlia, bensì due uomini di 18 e 20 anni.

Probabilmente due amanti colti nel loro letto e morti tenendosi stretti uno all’altro. A rivelarlo Massimo Osanna il soprintendente del sito archeologico di Pompei, che durante una conferenza stampa ha svelato la verità su quel calco che era stato soprannominato dal suo scopritore Vittorio Spinazzola “Gli amanti”. “Pompei non finisce mai di stupire – ha detto -. Si è sempre immaginato che fosse un abbraccio fra donne. Ma Tac e Dna hanno rivelato che sono uomini”. I due uomini non erano imparentati e probabilmente, a giudicare dalla posizione dei corpi, erano amanti.

“Non si può dire che i due personaggi fossero amanti – ha svelato lo studioso -. Ma considerata la loro posizione, si può ipotizzare. È difficile però averne la certezza”. Sono state le analisi del DNA a stabilire che il 18enne e il 20enne erano soggetti di sesso maschile non imparentati. Anche se l’analisi sul 20enne ha lasciato un po’ perplessi gli studiosi, visto che non vi è la certezza matematica a causa del DNA rovinato dopo duemila anni. Era l’inizio del Novecento quando il calco dei “due amanti” venne portato alla luce nel sito di Pompei. Nel 1922 Spinazzola, il primo ad analizzarli, ipotizzò che si trattasse di un uomo e una donna, stretti nell’ultimo abbraccio prima della morte.

Anni dopo Osanna ha ipotizzato si trattasse invece di due donne, madre e figlia. La più grande a proteggere la giovane con le sue braccia. In realtà la verità non è venuta immediatamente alla luce soprattutto perché gli studiosi hanno atteso parecchio prima di analizzare a fondo e con strumenti moderni i corpi. “Per una Pietas cristiana – aveva spiegato Massimo Osanna nel 2015 – hanno sempre rappresentato corpi di persone morte e non reperti archeologici”.

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