C'è un'arte segreta che sopravvive su un'isola del Trasimeno: e la custodisce un'unica donna 

Sul Lago Trasimeno, l’eco di un’arte secolare resiste. A tenerla viva è una sola donna, erede di un filo che unisce passato e presente.

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Giuseppe Guarino

Giuseppe Guarino

Giornalista

Ph(D) in Diritto Comparato e processi di integrazione e attivo nel campo della ricerca, in particolare sulla Storia contemporanea di America Latina e Spagna. Collabora con numerose testate ed è presidente dell'Associazione Culturale "La Biblioteca del Sannio".

Il Lago Trasimeno, tra le sue acque calme e la bellezza del suo paesaggio, è custode di un’isola sulla quale il tempo sembra essersi fermato, poiché racchiude qualcosa di sottile e prezioso, che si cela tra i fili intrecciati di una antica tradizione. Stiamo parlando di una silenziosa arte, tramandata di generazione in generazione, che oggi riesce a sopravvivere solo grazie alla dedizione e alla pazienza di una sola e unica custode.

Il merletto irlandese, un filo tra due mondi e la tradizione dell’Isola Maggiore

Andiamo con ordine e partiamo dal principio. L’Umbria è un luogo di tradizioni secolari e anche sull’Isola Maggiore – l’unica abitata tra le tre presenti sul Trasimeno – l’identità locale ha saputo accogliere un’antica e lontana tradizione, della quale oggi si fa orgogliosamente custode.

Stiamo parlando della tecnica del “merletto irlandese ad ago” o anche “merletto a tombolo”, che fu portato sull’Isola Maggiore nel XIX secolo grazie alla marchesa Elena Guglielmi, figlia del marchese Giacinto, che acquistò il vecchio convento francescano dell’Isola trasformandolo in residenza (quello che oggi è conosciuto come Castello Guglielmi).

Nel 1904, Elena Guglielmi istituì addirittura la prima e unica scuola di merletto dell’isola: un percorso di due anni al termine del quale le allieve sostenevano un esame, creando quattro pezzi con tecniche diverse, che venivano poi assemblati in un’unica opera. Quella scuola riuscì a dare alle donne dell’isola non solo una competenza artistica, ma anche uno strumento di emancipazione e di sostentamento economico.

L’ultima merlettaia e il museo che racconta una storia

Oggi, di quella scuola e delle sue decine di allieve, resta una sola erede diretta: una donna che, con pazienza e passione, continua a lavorare il filo come le sue antenate. I suoi gesti sono sempre gli stessi, del tutto immutati da oltre un secolo di storia, eppure ogni volta unici, come se ogni filo avesse qualcosa di nuovo da raccontare. In questo microcosmo sospeso tra acqua e cielo, l’arte diventa memoria (e forse anche resistenza).

I suoi lavori sono esposti al Museo del Merletto, ospitato nel cinquecentesco Palazzo delle Opere Pie, a pochi passi dal porto dell’isola. Qui si possono ammirare centrini, guanti, abiti da sposa e delicati pizzi a punto Irlanda realizzati tra il 1904 e la fine del Novecento, testimonianze tangibili di una storia che intreccia arte, lavoro e vita quotidiana. Visitabile durante la “metà estiva” dell’anno, da Pasqua fino a fine settembre, il museo non è solo un’esposizione, ma un luogo dove il filo della memoria resta vivo, grazie a mani che non hanno smesso di creare e a un’isola che continua a custodire, gelosa, il suo segreto.

Insomma, di sicuro, tra il silenzio e i tramonti dell’Isola Maggiore, continuano a risuonare gli echi di una tradizione immortali. Finché la mano dell’ultima merlettaia riuscirà a tenere l’ago, quest’arte segreta continuerà a respirare, fragile e forte come la trama di un merletto sospeso sull’acqua. Se già passeggiare per l’isola è un’esperienza unica, in un percorso che si snoda tra il borgo dei pescatori e la natura incontaminata, questa porzione di storia non può che regalarci un vero e proprio contatto con un tempo che fu.

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