Lo sanno tutti: Milano è terra di cotoletta, di burro che sfrigola, di impanature dorate che profumano di casa e infanzia. Un piatto simbolo, tanto amato quanto radicato nella tradizione lombarda. Proprio per questo, l’esperimento di Carlo Cracco ha scatenato un putiferio. Lo chef stellato ha deciso di ribaltare il concetto stesso di cotoletta, proponendo un’interpretazione che non prevede carne. E il pubblico si è diviso: genio o provocazione?
- Genio creativo o trovata di marketing? Ecco come si fa la cotoletta senza carne
- Una pioggia di critiche (e meme) sui social
- Non si tratta solo di “pane fritto”
- Un esperimento di stile tra sostenibilità e provocazione
- Perché la cucina stellata fa spesso discutere
Genio creativo o trovata di marketing? Ecco come si fa la cotoletta senza carne
La sua creazione si chiama Milano che avanza, un gioco di parole che unisce la città al tema del recupero alimentare. Cracco parte da un’idea semplice solo in apparenza: utilizzare pane raffermo, bagnarlo in un brodo molto ristretto ottenuto dagli scarti della carne, impanarlo e friggerlo nel burro e olio. Il risultato? Una “cotoletta” che della cotoletta tradizionale conserva la forma e la croccantezza, ma non la sostanza. La carne, semplicemente, non c’è.
Una pioggia di critiche (e meme) sui social
Il piatto è stato presentato in un video diffuso sui social dello chef, e da lì è iniziata la valanga. C’è chi ha apprezzato l’idea, lodando l’inventiva, la sensibilità verso il tema dello spreco e il coraggio di reinterpretare un classico. Ma la maggior parte dei commenti, almeno quelli online, non è stata tenera. Tra ironia e sarcasmo, in tanti hanno visto nella proposta un insulto alla tradizione e una trovata di marketing ben camuffata da sostenibilità.
Non si tratta solo di “pane fritto”
Ma cosa rappresenta davvero Milano che avanza? È un piatto concettuale, pensato per essere parte di un percorso degustazione. Non si tratta quindi di un secondo da ordinare alla carta, ma di una tappa in un viaggio gastronomico dove ogni portata racconta una storia. In questo caso, quella di una Milano moderna, che si interroga sul valore della materia prima, sul recupero e sulla trasformazione del superfluo in qualcosa di prezioso.
Un esperimento di stile tra sostenibilità e provocazione
Il gesto di Cracco, insomma, non è casuale. È una provocazione, sì, ma con una riflessione alle spalle. Non è il piatto “povero” della nonna né un tentativo di risparmiare, ma una dichiarazione d’intenti. Lo chef vuole parlare di sostenibilità senza rinunciare alla raffinatezza, prendendo elementi considerati minori — come il pane secco — e portandoli al centro della scena. La salsa acida che accompagna la finta cotoletta, ad esempio, ricorda quella del carpione e aggiunge una complessità inaspettata al morso.
Perché la cucina stellata fa spesso discutere
Alla fine, come spesso accade in cucina, il gusto è anche una questione di aspettative. Chi cerca un’imitazione fedele della cotoletta alla milanese, rimarrà probabilmente deluso. Ma chi è disposto a lasciarsi sorprendere potrebbe scoprire un nuovo modo di pensare la tradizione. In bilico tra provocazione e innovazione, Milano che avanza continua a far parlare. E questo, nel bene o nel male, è già un successo.
Piatti come quello di Cracco dividono perché mettono in discussione certezze consolidate, giocano con simboli gastronomici nazionali e sfidano il senso comune del “buono” e del “giusto”. È normale che scatenino reazioni forti: fanno parlare, riflettere, a volte anche arrabbiare. Ma proprio questo è, in fondo, uno degli obiettivi dell’alta cucina contemporanea. Non limitarsi a sfamare, ma stimolare. Anche quando si tratta solo – si fa per dire – di una cotoletta senza cotoletta.