Umberto Guidoni: “Entro fine secolo potremo arrivare su Marte”

Intervista esclusiva all'astronauta Umberto Guidoni che racconta la sua esperienza e quale sarà il futuro delle esplorazioni e del turismo spaziale.

18 Aprile 2018

Nel 1996 e nel 2001 ha viaggiato a bordo dello Space Shuttle. Nel 2001 è stato il primo astronauta europeo a mettere piede sulla ISS (Stazione Spaziale Internazionale). Stiamo parlando di Umberto Guidoni, uno dei primi italiani a viaggiare nello spazio dove ha trascorso in totale 27 giorni, 15 ore e 12 minuti. Oggi si occupa di divulgazione scientifica e segue i progressi legati all’esplorazione dello spazio. Chi meglio di lui può raccontarci le emozioni di quando vedi la Terra piccola e distante? In questa intervista racconta a superEva quasi 60 anni di viaggi spaziali e quali limiti stiamo per superare.

Sono passati 56 anni da quando Yuri Gagarin volò nello spazio. Era la prima volta per un uomo e lei aveva 6 anni. Come molti bambini sognava già di diventare astronauta?
Forse a 6 anni ancora no però qualche anno dopo, quando gli uomini sono sbarcati sulla Luna, è stato il momento in cui ho pensato che anche io avrei potuto fare quel mestiere. Vedere degli uomini in carne ed ossa che mettevano piede sulla Luna come accadeva nei romanzi di fantascienza che leggevo allora è stata una forte emozione e in qualche modo mi ha convinto che quello poteva essere un sogno da realizzare. Poi crescendo uno si rende conto che almeno in quegli anni chi andava nello spazio erano i russi e gli americani e quindi non c’era grande possibilità. Infatti questo sogno l’ho messo nel cassetto per diversi anni e poi l’ho ripreso successivamente.

A proposito di romanzi di fantascienza e di cultura pop, quelli erano gli anni di Tito Stagno che ha commentato il primo passo dell’uomo sulla Luna, di cantanti e cinema che hanno parlato dello spazio. Quali influenze ha ricevuto da questi elementi di cultura popolare dell’epoca?
Sicuramente i romanzi di Arthur Clarke piuttosto che di Asimov, ma anche i film. Pensi che nel 1968 è nato “2001 Odissea nello spazio” che ha fatto epoca allora, un anno prima dello sbarco sulla Luna. È stato uno dei film che ha presagito l’esplorazione umana dello spazio. Tra l’altro io nel 2001 ero veramente nello spazio.

Quali sono stati i primi passi per diventare astronauta?
Crescendo mi sono reso conto che fare l’astronauta non era facile, soprattutto in Italia, e ho fatto la cosa più vicina allo spazio che potessi immaginare: ho studiato fisica, mi sono laureato e sono diventato un astrofisico. Ho lavorato per diversi anni presso il CNR (Consiglio Nazionale di Ricerca) in un laboratorio che si occupava di satelliti ed esperimenti nello spazio. Proprio uno di questi esperimenti è stato scelto dalla Nasa per volare sullo Shuttle. Siccome è stato un accordo bilaterale tra stati, oltre alla parte legata agli esperimenti e a questo satellite c’è stata anche l’idea di addestrare il primo astronauta italiano. Quindi è cominciata da lì la prima selezione in Italia di astronauti. Alla fine siamo stati selezionati in due, io e Malerba e siamo stati mandati a Houston per l’addestramento. Diciamo che quando c’è stato questo bando di concorso pubblico a fine anni ’80 io ho ripreso il mio sogno nel cassetto e ho provato questa mia nuova avventura.

Quindi sono arrivati la sua esperienza sulla stazione spaziale (la prima per un europeo) e quella sullo pace Shuttle proprio nel 2001, l’anno di “Odissea nello spazio”.  In che modo questi progetti hanno influenzato la ricerca per applicazioni poi utilizzate dall’uomo sulla Terra?
L’attività spaziale ha avuto un’importanza fondamentale per esempio per l’aspetto che riguarda la miniaturizzazione dell’elettronica: se oggi abbiamo i computer e gli smartphone così potenti e così piccoli è proprio grazie allo sforzo che fu fatto a metà degli anni ’60 proprio per permettere all’uomo di sbarcare sulla Luna. Allora i computer erano grandi come stanze e sicuramente non entravano in una capsula destinata ad andare sulla Luna. Tra l’altro il computer usato per portare Luna era molto primitivo ed era in grado di fare poche operazioni. È stato lo sforzo fatto in quegli anni per ridurre e miniaturizzare le dimensioni a portare a questi risultati.
Un’altra tecnologia che è stata sviluppata per lo spazio perché lì non era facile portare un generatore elettrico diesel è stata quella delle celle a combustibile. Le celle a combustibile utilizzano idrogeno e ossigeno che sono due gas presenti sui veicoli spaziali e le fanno interagire ad una temperatura relativamente alta per produrre energia elettrica. Il prodotto di scarto è l’acqua, quindi gli astronauti poi la bevono. Oggi le celle a combustibile sono l’elemento base delle macchine ad idrogeno.

Tornando indietro con la memoria al suo primo volo nello spazio, quali emozioni ha provato e come è stato rispetto alle attese?
Le emozioni sono tantissime, a partire dalla fase del lancio. Ma la più bella di tutte è quando arrivi in orbita, ti affacci dall’oblò e vedi la Terra sotto di te: è un’immagine spettacolare piena di colori che cambia continuamente perché vai in orbita per 90 minuti e in questo tempo vedi zone nuove del pianeta.
L’altra grande novità a cui non sei abituato è l’assenza di peso perché il potersi muovere liberamente, il galleggiare è una cosa che sulla Terra non si può neanche simulare. La prima volta che lo provi sul serio è quando vai nello spazio, quindi quella è una delle cose di cui non hai idea. L’unica prova che si fa prima è in aereo quando si simula l’assenza di peso facendo una capriola: l’aereo fa una specie di montagna russa e l’effetto di assenza di peso dura una decina di secondi e tu non riesci a capire quanto questo poi comporti sul tuo corpo. Lo capisci quando vai nello spazio per la prima volta. Uno dei problemi che ti poni è se starai male nello spazio perché chiaramente l’assenza di peso cambia gli equilibri all’interno del corpo e almeno nella fase di transizione una sensazione di malessere c’è, quella che gli astronauti chiamano il “mal di spazio”.

Trovarsi su una navicella spaziale distanti dalla Terra, con poche persone e anche per periodi relativamente lunghi. Come ha vissuto quei momenti?
Premesso che, a parte gli uomini che sono andati sulla Luna e che si sono allontanati effettivamente diverse centinaia di migliaia di metri, tutti gli altri sono piuttosto vicini perché chi orbita intorno alla Terra è soltanto a 400 km di distanza, sei comunque al di fuori dell’atmosfera, nello spazio. Nonostante ti sia allontanato soltanto 400 km, in realtà ad occhio nudo, almeno di giorno, non vedi traccia dell’umanità. Questo è singolare perché spariscono le città e sparisce tutto. Poi di notte si vedono le luci della città, ma almeno di giorno non riesci a vedere traccia della presenza dell’uomo, quindi in questo senso ti senti isolato rispetto al resto dell’umanità e vivi in un ambiente relativamente ristretto con quelle poche persone che ti hanno accompagnato nel viaggio.
Con lo Shuttle le missioni duravano qualche settimana; con la Stazione Spaziale chiaramente si sono allungate e oggi le permanenze in orbita durano anche diversi mesi fino ad un massimo di un anno. Chiaramente l’effetto psicologico di vivere in un ambiente così piccolo pesa di più, è più importante. È un spetto che va affrontato pensando al futuro, a quei voli di viaggio verso Marte ed altre destinazioni che richiedono almeno un paio di anni di viaggio relativamente isolati lontano da casa.

Uno dei temi più discussi è infatti quello del turismo spaziale. Sono stati fatti molti esperimenti in questo senso.
Sì, il turismo spaziale è già una realtà anche se limitato a pochissime persone. Ci sono state 5 persone, 5 grandi ricchi, ricchissimi paperoni che ci sono stati pagandosi il biglietto sulla Stazione Spaziale Internazionale, però questo è molto limitato. Quello di cui parliamo quando pensiamo al turismo spaziale sono i veicoli nuovi che si stanno realizzando e che sono costruiti da privati: la SpaceX da un lato, la Boeing dall’altro e altre compagnie come la Virgin Galactic stanno pensando di costruire veicoli per trasportare turisti. Io credo che sia un fatto positivo, fermo restando che c’è bisogno di un’autorità che, come succede per gli aerei, garantisca la sicurezza perché questo è l’unico vero punto debole dell’approccio dei privati che ovviamente guardano più all’aspetto di resa economica. Quindi ci vorrebbe un organo terzo, un organo internazionale come capita per le compagnie aeree, che garantisca uno standard di sicurezza che valga per tutti, sia per i veicoli delle agenzie spaziali internazionali che portano professionisti in orbita, sia per i turisti.

Rispetto agli anni della corsa allo spazio di Stati Uniti e Unione Sovietica che veniva fatta per motivi militari e politici, quale linea viene seguita oggi?
L’aspetto militare c’è ancora. Per esempio negli Stati Uniti l’aeronautica ha una specie di Shuttle senza uomini, una specie di drone spaziale che ogni tanto vola e non si sa bene che cosa faccia. Anche i cinesi mi sembra che abbiano interessi di tipo strategico come i russi, però è vero che fino ad oggi gli aspetti principali siano stati quelli della ricerca scientifica e la prova più evidente di questo è stata proprio la realizzazione della Stazione Spaziale Internazionale che guarda caso è stata fatta in collaborazione tra russi e americani. In questo caso ovviamene non c’è nulla di tecnologia militare, ma ci sono tecnologie civili, esperimenti importanti che vengono fatti tutti insieme dagli europei e da altri paesi: sono 15 i paesi che lavorano tutti insieme. Quello secondo me è l’aspetto più interessante legato al futuro: la collaborazione piuttosto che la contrapposizione.
Poi c’è l’aspetto dei privati che hanno interessi diversi come quello del turismo dove hanno calcolato che ci sono diverse decine di miliardi di mercato disponibile. Ma potrebbero esserci in futuro altri campi come la ricerca delle materie prime. Ci sono alcune organizzazioni private che hanno in qualche modo creato delle società il cui obiettivo è quello di andare a prendere dei materiali sugli asteroidi. Le tecnologie oggi non ci sono ancora ma nel futuro potrebbero esserci.

Poi si cerca sempre la vita in altri pianeti, dalle tracce di acqua su Marte a esopianeti simili alla Terra.
Certo, l’altro aspetto è proprio quello della ricerca scientifica che oggi si fa in orbita vicina alla Terra e anche con delle sonde. Io parlavo dell’aspetto umano, ma, se guardiamo a quello che fanno i robot, abbiamo mandato sonde ovunque nel sistema solare fino ad arrivare a Plutone ed oltre. Ci sono un paio di sonde che hanno lasciato il sistema solare: i Pioneer e i Voyager che sono in viaggio addirittura fuori dal sistema solare. Probabilmente anche quello è un aspetto interessante: la ricerca di vita è una delle questioni su cui si interrogano tutti ed è una cosa che fino a qualche anno fa era pura fantascienza, ma oggi grazie anche alle tecnologie a disposizione noi sappiamo che non solo ci sono pianeti nel nostro sistema solare ma con grande probabilità ci sono pianeti abitabili anche in altre stelle e in altri sistemi.

Recentemente c’è stata la notizia di Buzz Aldrin che avrebbe visto qualcosa di strano durante il suo viaggio. A lei è mai capitato?
A me no. A proposito di Buzz Aldrin, lui ha detto che si riferiva alle luci riflesse dai pannelli solari è stato male interpretato. Non ho mai visto cose che possano avere origine extraterrestre. Quello che posso dire è che nello spazio, nelle condizioni di luce e di vuoto è difficile stabilire le distanze, quindi anche una cosa piccola e vicina può sembrare luminosa quanto una cosa grande e lontana, quindi è facile avere l’impressione di vedere un oggetto che magari è solo un pezzo di ghiaccio che viaggia e riflette la luce.

Tornando al discorso degli investimenti sulle esplorazioni spaziali, qual è il ruolo dell’Italia nel contesto internazionale?
L’Italia ha un passato importante nella ricerca e nell’esplorazione spaziale. È stato uno dei primi paesi a lanciare satelliti in orbita, poi come spesso accade ha avuto dei momenti di alti e bassi. Negli ultimi 10 anni è stata partner importante nella costruzione della Stazione Spaziale Internazionale. L’Italia fa parte dell’Esa (Agenzia Spaziale Europea) ed è uno dei paesi più importanti dopo Francia e Germania, quindi partecipa a gran parte dei progetti. Al momento siamo ben posizionati, ma il problema come spesso succede è che ci vuole continuità. Spesso i progetti sono a lunghissimo termine: 20/30 anni. Quindi c’è bisogno di mantenere un impegno dal punto di vista sia della progettazione che della realizzazione di esperimenti e questo non sempre è facile nella situazione della politica italiana.

In questo momento storico si sta meglio sulla Terra o nello spazio?
. È chiaro che in questo momento preciso le tecnologie che ci permettono di stare nello spazio sono ancora relativamente primitive e quindi pensare di poter anche vivere al di fuori della Terra non è realizzabile se non per brevi periodi come si è dimostrato con le stazioni spaziali: si può stare nello spazio da 6 mesi fino anche a un anno, ma non si può nemmeno pensare di vivere a lungo nello spazio. Però io penso che sia solo un limite tecnologico e credo che alla fine del secolo saremo in grado di avere insediamenti umani su Marte, sulla Luna e anche oltre.
Molto dipenderà da quanto si sviluppa la tecnologia e da quanto ci sia la disponibilità ad investire in questo sviluppo perché poi alla fine le tecnologie avanzano rapidamente se uno è disposto ad investire molto. Faccio riferimento ad un dato storico. Le missioni Apollo si sono svolte nell’arco di meno un decennio. Nel 1972 fu lanciata dal presidente Kennedy l’idea di andare sulla Luna e in meno di 10 anni ci sono arrivati. Spendendo una quantità di denaro che oggi sarebbe inimmaginabile. Questo vuol dire che se uno è disposto a metterci degli investimenti, probabilmente quelle tecnologie si sviluppano velocemente. Quindi potremo arrivare su Marte fra 30 anni o fra 40, dipende da quanto saremo pronti ad investire.

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