Intervista a Rkomi: “Mi sento solo ed è una cosa bellissima”

Il 13 Luglio esce "Ossigeno", il nuovo progetto di Rkomi: cogliamo quindi l'occasione per riproporvi questa chiacchierata che abbiamo fatto con lui.

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“Viale Molise, Piazza Insubria, Via Ugo Tommei fino a piazza Ovidio, Piazzale Cuoco, Corvetto”. Per capire la geografia dei luoghi dove è cresciuto Rkomi, è sufficiente citare il finale di “Oh Mama”, pezzo contenuto all’interno dell’ep “Dasein Sollen”, che è già culto. Il quartiere è quello di Calvairate, a pochi chilometri dal centro, ma distante anni luce dalla Milano capitale della moda e della finanza. Secondo la leggenda, il nome deriverebbe dalla vicissitudini di alcuni crociati di ritorno dalla Guerra Santa, che vi costruirono una cappella in onore al monte Calvario.

Il parchetto delle case Aler dove Mirko Martorana (questo il vero nome di Rkomi) e la sua Z4 Gang (che prende il nome – appunto – dalla circoscrizione di Calvairate) è quello in cui, solo pochi mesi fa, Papa Bergoglio dichiarava che “la Chiesa deve abbracciare i confini e ospitare le differenze, integrarle con rispetto e creatività”.

Oggi Mirko è cresciuto, insieme alla sua musica, insieme alle rime che lo hanno accompagnato anche nei momenti più faticosi: “muoio di fame, ma mai di parole”. Il meritatissimo successo è già arrivato da un paio d’anni, ma ora ha qualcosa di più tra le mani. È infatti uscito oggi per Roccia Music e Universal Music Italia “Io in Terra”. 14 tracce in totale, una vasta e prestigiosissima schiera di produttori e due grossi featuring: Marracash e Noyz Narcos. Si tratta di un album consapevole, impetuoso e davvero molto, molto emozionante.

Abbiamo incontrato Rkomi per parlare dell’album, della sua vita e del suo rapporto con la Zona 4.

Intervista a Rkomi Fonte: Redazione

In più di un brano dell’album c’è il confronto tra la vita prima e la vita dopo, nel singolo “Mai più” questo contrasto è particolarmente evidenziato. È cambiata molto la tua vita?

Sai cosa sono cambiati? Gli occhi delle persone. Questo non mi dà fastidio, ma fa strano. Eppure non mi sento cambiato, anche se le esperienze che faccio oggi sono senza dubbio differenti. Più che un cambiamento, è una maturazione: sono cresciuto eppure non mi sento tanto diverso.

Quanto hai scartato prima di arrivare a quella che è l’attuale tracklist di “Io in terra”?

Pochissimo, solo un brano che non è stato realmente scartato bensì lasciato un attimo in stand-by.

E “Rossetto” che fine ha fatto? Inizialmente era sembrato dovesse essere l’Intro dell’album.

Sono legatissimo al brano, legatissimo a Nebbia e legatissimo a quel periodo; ho semplicemente preso questa decisione perché il disco è come un “viaggetto” semi-esoterico nella mia testa, cosa che all’ascoltatore arriverà dopo o non arriverà proprio. “Rossetto” cozzava un po’ con tutto ciò e, allo stesso tempo, il progetto era ai tempi troppo immaturo per far sì che potessi consapevolmente reputare “Rossetto” come la giusta introduzione del disco.

“La solitudine” e “Solo”: ben due brani all’interno dello stesso album che – ad iniziare dal titolo – parlano di una condizione di isolamento, lontananza, emarginazione. Meglio soli che mal accompagnati?

Un anno e mezzo fa ti avrei risposto: sì, è un emarginarsi, un isolarsi. Eppure – in questo periodo – sto iniziando più a contemplare l’emarginazione in un contesto caotico che non isolato: trovare un proprio centro, un proprio equilibrio e provare, grazie alle proprie doti, a mantenerlo. È come se io fossi seduto ad un tavolo, con un sacco di persone attorno, ma mi sentissi comunque solo. Mi sento solo, ma è una cosa positiva.

La classica situazione in discoteca quando sei in mezzo a un sacco di gente eppure ti senti dentro una bolla.

Sì, in realtà non sono mai stato un discotecaro, quindi non saprei dirti. Quello che realmente voglio comunicare è di cercare questo centro e mantenerlo: provare a non perderlo mai, nonostante le prove che la vita pone davanti a ciascuno di noi.

In un’intervista di qualche mese fa a Rolling Stones, alla domanda “Nell’album ci sarà Charlie Charles?” hai risposto: “Sì, lo vorrei molto. E ci saranno Tedua, Izi e tutto il giro nuovo, la nostra famiglia”. Come mai – invece – non solo non c’è Charlie, ma neanche Tedua, Izi e “tutta la famiglia”?

In realtà la questione è molto semplice: ho già collaborato con ciascuno di loro e non volevo ripetermi. Probabilmente non ho trovato l’occasione più azzeccata – se vogliamo -, ma principalmente si tratta – appunto – di non volersi ripetere e di non riempire il disco di featuring. Per quanto possa apparire egocentrico, potevo avere quasi chiunque in questo album e non ho voluto perché non sarebbe stato più il mio disco. Sentivo già la responsabilità della scelta di avere Marra e Noyz, se avessi inserito altre collaborazioni forse si sarebbe perso quell’equilibrio che sono arrivato a trovare in modo molto naturale. Ma ho i miei piani.

Mi risulta che ami molto leggere: Osho, Bukowski, Coelho. Quali sono le influenze letterarie di “Io in Terra”?

Ho passato l’ultimo anno in cui non ho letto quasi nulla, quindi forse non c’è un’influenza netta da parte di qualcuno di loro. Ovviamente c’è un pensiero che mi hanno “tramandato”, che fa ancora parte di me e che sto provando a comunicare. Sicuramente c’è Osho, che poi è l’unico che ho approfondito davvero molto, e qualcosa è rimasto da tutte le mie letture, solo che non te lo saprei specificare con esattezza perché come ti dicevo quest’ultimo anno non ho avuto la testa e neanche molta passione: leggere una pagina e non percepirla non avrebbe senso.

Che opinione hai di Milano, la città in cui sei nato e nella quale hai sempre vissuto?

Io la amo, però oggi ti rispondo così perché arrivo da due settimane di presa bene. Comunque è strano: banalmente, quando non ci sono, ci vorrei essere.

Tra l’altro hai da poco cambiato casa.

In realtà ho cambiato tre case in quattro mesi.

Ma non hai lasciato la zona?

Non potrei mai lasciare Calvairate. Ieri – per esempio – non avevo tempo, ero lontanissimo, ma nonostante tutto volevo andare da Tony – il mio barbiere – a tagliarmi i capelli. C’è sempre un qualcosa di strano dentro di me quando torno. Che poi non è che non ci sia, però ovviamente la vita è cambiata, gli impegni sono tanti e devo centellinare i momenti. Ieri per esempio ho preso al volo l’occasione e sono volato lì, ho beccato duecentomila amici, un sacco di ragazzini, è sempre fantastico: mi manca.

Ti ho visto live un mesetto fa al Magnolia e ho avuto come l’impressione che fossi molto spontaneo, ma non totalmente a tuo agio. Qual è il tuo rapporto col palco: ti spaventa?

Sì, c’è ancora quella via di mezzo lì. Con le ultime date ho avuto modo di perfezionare ancora di più questo aspetto e adesso mi sento tranquillissimo: sono già al lavoro per il tour, sia dal punto di vista della performance che dell’aspetto visivo e sono molto gasato a riguardo. Mi sento proprio tranquillo, so che finalmente sono un artista da palco.

Torniamo all’album: un brano che mi ha molto colpito è “Farei un figlio”, pezzo tanto ironico quanto maturo, piuttosto insolito per un ragazzo del ’94. A differenza del titolo, osserva con un certo distacco la frivolezza con cui le coppie di oggi generano e – soprattutto – crescono un figlio.

Sapevo che sarebbe stato notato. Questo brano è nato a Savona, durante una settimana di sessione che ho fatto per scrivere un po’, come feci anche a Tenerife. Da piccolo, tramite mio zio che aveva la casa, andavo ad Albissola Marina, che è un paesino lì di fianco. Andavo ad agosto a farmi una o due settimane, quando si riusciva anche tre o quattro. Quindi a Savona si capitava spesso, per questo sono voluto andare lì per vedere un po’ cosa potesse succedere dentro di me: così è nato “Fare un figlio”, insieme ad altri due brani. Ed è paradossale, ma neanche troppo, il fatto che io abbia scritto un testo dove parlo di un argomento legato all’infanzia proprio in un posto in cui andavo da ragazzino. Oltretutto do molto peso al tema in sé, essendo cresciuto da solo con mia madre, penso sia una situazione abbastanza comune.

A differenza di quasi tutti i tuoi colleghi, parli raramente dei soldi. Qual è il tuo rapporto con il cash?

Ho un rapporto molto tranquillo, per adesso non influenzano più di tanto la mia scrittura. Ogni tanto ho anch’io i miei schizzi e magari – ora che ho due soldi – mi va di spenderli. Però il valore dei soldi ce l’ho ben piantato in testa e so cosa sono e quanto valgono. Di certo non hanno così tanta importanza per me da far sì che mi esca spesso l’eventuale frasetta.

Anche le donne delle tue canzoni non sono le classiche “bitch”, ma ragazze con una dignità e una personalità, che si fanno aspettare, corteggiare e che – forse – sanno anche dire dei no. Com’è Mirko, nella vita, un romantico?

Romanticissimo, sì. Sono anche un pezzo di merda, ma alla fine è un po’ l’altra faccia della medaglia.

Visto che le hai dedicato una canzone, chi è Maddalena Corvaglia?

Maddalena Corvaglia era una delle due veline di Striscia, non so di quale anno. Quell’anno c’erano la Canalis e la Corvaglia: è stato il duo che più mi colpì ai tempi e che più mi è rimasto impresso. Lei non è la classica velina, c’è qualcosa di più. Il pezzo è divertente, ma non è per nulla ignorante, o sessista. È un gioco, un parallelismo che mi è piaciuto fare: questa cosa degli occhi che vanno su e giù come un’altalena, da ragazzino uno lo fa questo paragone.

Ascolta Mirko: una volta per tutte, cosa faceva Falco a casa di Ciccio?

Ehh, ho creato del disagio con questa cosa. C’è dietro un teatrino, del cinema che non mi va di alimentare ulteriormente, per cui ti rispondo “tante cose”.

Tante cose. Quindi c’è stato molto Falco a casa di Ciccio?

Moltissimo, sì. (ride, nda.) Per metterlo in una canzone vuol dire che c’è sotto qualcosa di davvero rappresentativo.

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