La scena hip-hop italiana non attira solo l’attenzione di critica e pubblico nazionali: anche la stampa estera se ne cura. Ultimo in ordine di tempo, il servizio di Highsnobiety, che ha ripreso l’indagine effettuata dal giornalista Cian Traynor di Huck Magazine. «Alcuni rapper utilizzano la loro musica come uno strumento d’espressione, come un’arma per il cambiamento sociale. Altri, semplicemente,con il rap si divertono», ha scritto. Per poi stilare un elenco dei migliori rapper italiani. Consiglia di tenerli d’occhio, Traynor. Di ascoltare i loro testi, di farsi coinvolgere dalla loro musica.
Al primo posto, Achille Lauro. Nato Lauro De Marinis, si definisce l’”anti-rapper”. E, in effetti, dallo stereotipo si allontana: ha un aspetto più femminile che da macho, e nel suo rap ci inserisce le sonorità tipiche della samba. Nel 2017 ha firmato con la Sony Records, sempre con il producer Boss Doms al suo fianco. «Stiamo ancora cercando di capire se la sua immagine appariscente sia solo frutto della sua estrosità, o se non sia invece un segnale visibile del suo rifiuto verso l’immagine mascolina dell’hip hop moderno: in ogni caso, il suo stile e la sua musica funzionano. È come se Lil Peep incontrasse Tommy Cash», scrive il giornalista. Segue un duo, Carl Brave x Franco 126, alias Carlo Luigi Coraggio (producer) e Franco Bertolini (rapper): il loro album, “Polaroid”, ha ottenuto il Disco d’Oro lo scorso novembre.
Non si è però focalizzato solamente sui volti nuovi della scena rap italiana, Traynor. Tra i suoi preferiti troviamo anche Gemitaiz, che sui palchi c’è ormai dai 15 anni e che – nelle sue canzoni – parla della vita per strada e delle droghe (il suo ultimo album, certificato Disco di Platino, è nato a seguito del suo arresto per possesso di stupefacenti). Sul fronte dei “giovani”, però, un nome vince su tutti: è quello di Ghali, nato da genitori tunisini e cresciuto nella periferia di Milano. Sebbene sia sulla scena da mezzo decennio, la sua consacrazione è avvenuta solamente nel 2016: «la sua musica analizza la dicotomia tra l’eredità africana e la società italiana, anche attraverso l’uso di metafore», si legge. L’elenco continua poi con KETAMA126, definito il portavoce di un rap “confuso”, parte di un movimento in rapida ascesa soprattutto nel panorama milanese. La sua è una visione quasi onirica della vita, frutto dell’universo in cui coi suoi amici è cresciuto. Un universo fatto di relazioni, di droghe, della pressione che crescere mette addosso. Fa parte, KETAMA126, del Love Gang group; insieme a lui c’è Pretty Solero, il cui rap è invece ricco di bassi e di percussioni. «Potrebbe sembrare la tipica espressione della satira che ruota attorno ai rapper bianchi, ma le sue canzoni non sono male: contengono una fragilità che va apprezzata. Se siete dei puristi dell’hip-hop, non vi farà impazzire. Tuttavia, vi consigliamo di dare una chance a questo ragazzo», scrive il giornalista.
E se l’unica presenza femminile è quella di Priestess, le cui canzoni parlano di relazioni sanguinarie, viste con gli occhi delle donne che hanno fatto la storia -, l’elenco continua con Rkomi, riconoscibile per il suo flow inarrestabile, e con Sfera Ebbasta. Su Instagram, si auto-definisce “Trap King”; capelli rosa e look alla Kurt Cobain, fa un pop-rap “gentile”, che l’ha reso uno degli esponenti più amati della scena hip-hop italiana. Infine, Tedua: cresciuto tra Genova e Milano, nella sua musica si legge tutta la violenza delle strade in cui è cresciuto. Ma lavora anche a progetti molto diversi: ha persino sfilato per Dolce & Gabbana, come volto della collezione FW18.