‘We Can Do It’, chi era la donna del manifesto femminista

Ha un nome e un cognome il volto che ha incarnato il femminismo americano nell’iconico manifesto con lo sfondo giallo.

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Il motto era ‘We Can Do It’ e a incarnarlo in un’iconografia divenuta celebre in tutto il mondo era una donna dai capelli raccolti e lo sguardo volitivo. La camicia blu, la fascia rossa coi pois bianchi in testa e soprattutto il braccio flesso a indicare un misto di coraggio, sfida e forza di volontà hanno reso il manifesto di ‘Rosie the Riveter’ (ovvero “Rosie la Rivettatrice”) simbolo del femminismo americano dagli Anni Quaranta in poi. Ma chi era davvero la donna rappresentata sul cartellone?

Il successo globale di quell’immagine con il fumetto motivazionale portò molte donne a rivendicarne l’identità. Così, a partire dal secondo dopoguerra fioccarono Rosie in gran quantità. Ma il mistero su quella donna rimase tale per molto tempo e solamente in anni recenti è stata portata alla luce la vera identità dell’icona femminista. Oggi, infatti, quel volto ha un nome e un cognome.

Si chiamava Naomi Parker Fraley ed era impiegata in una fabbrica che produceva pezzi di ricambio per aeromobili. Fu senza dubbio una scelta fortunata – forse anche inaspettatamente – quella dell’artista J. Howard Miller, autore dell’immagine che scelse proprio l’operaia come modella. La donna, morta all’età di 96 anni nel 2019, che ispirò a propria insaputa il disegno divenne una leggenda.

Naomi era originaria di una famiglia californiana che abitava ad Alameda e iniziò a lavorare non appena gli Stati Uniti entrarono nella Seconda Guerra Mondiale dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor (1941). Era necessario, infatti, che anche le donne e la popolazione civile dessero il loro contributo al Paese per la mancanza di manodopera maschile impegnata nel conflitto.

Insieme alla sorella e a centinaia di altre americane, anche Naomi Parker Fraley si impegnò in fabbrica a sostegno dell’industria nazionale. L’intenzione di quel manifesto era proprio celebrare le donne nel loro impegno civile durante la guerra. Ma, una volta terminate le ostilità, assunse un significato ancora più ampio e universale quando il movimento femminista ne fece la propria bandiera.

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