L’Italia ospita circa 90 bombe nucleari, distribuite in due basi militari: Ghedi, in Lombardia, e Aviano, in Friuli-Venezia Giulia. Ma perché il nostro Paese detiene un arsenale così imponente nonostante non sia una potenza nucleare? Questa domanda ci porta a riflettere sul ruolo strategico che l’Italia riveste all’interno dell’Alleanza Atlantica e sulle implicazioni di una simile responsabilità.
- Le basi italiane: Ghedi e Aviano
- Perché così tante bombe?
- L'ambigua situazione europea: cosa sono i trattati TNP e TPNW
- Le implicazioni per l’Italia
Le basi italiane: Ghedi e Aviano
Secondo alcune fonti, queste armi non appartengono tecnicamente all’Italia ma agli Stati Uniti, che le mantengono sotto il programma di condivisione nucleare della NATO. Questo accordo consente ad alcuni Paesi membri, pur non possedendo un arsenale nucleare proprio, di ospitare ordigni atomici sul proprio territorio. L’obiettivo principale è rafforzare il deterrente nucleare dell’Alleanza, garantendo una maggiore sicurezza collettiva.
Le bombe nucleari sono conservate in due basi aeree. La base di Aviano, gestita direttamente dagli Stati Uniti, ospita una parte importante di questo arsenale. Si tratta di una struttura militare con personale prevalentemente americano, che svolge un ruolo cruciale nelle operazioni NATO. Le bombe presenti qui sono del tipo B61, ordigni progettati per essere trasportati da caccia-bombardieri e utilizzabili in caso di estrema necessità.
La seconda base, Ghedi, si trova sotto la gestione congiunta delle Forze Armate italiane e americane. Qui le bombe sono destinate ai caccia Tornado italiani, che, in caso di conflitto, potrebbero essere utilizzati per missioni di attacco nucleare. Va sottolineato che questa situazione impone all’Italia non solo un impegno logistico ma anche un ruolo operativo, pur sempre sotto il comando della NATO.
Perché così tante bombe?
La presenza di ben 90 ordigni nucleari sul territorio italiano deriva da ragioni sia storiche che strategiche. Durante la Guerra Fredda, l’Italia rappresentava un avamposto cruciale per contenere la minaccia sovietica, trovandosi in una posizione geografica strategica nel Mediterraneo. Questo ruolo si è mantenuto anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica, in un contesto internazionale in cui la deterrenza nucleare rimane una componente chiave delle politiche di sicurezza occidentali.
Un’altra spiegazione è legata alla volontà degli Stati Uniti di mantenere una rete di basi strategiche in Europa. L’Italia, per la sua posizione geografica e per i suoi stretti legami con Washington, è uno dei Paesi europei più adatti a ospitare queste infrastrutture. Inoltre, la presenza di un alto numero di bombe nucleari aumenta la capacità della NATO di rispondere a potenziali minacce in tempi rapidi.
L’ambigua situazione europea: cosa sono i trattati TNP e TPNW
A completare questo quadro si aggiunge una riflessione cruciale: il sistema normativo che dovrebbe regolamentare la proliferazione nucleare è, oggi, in larga parte inadatto a contenere la nuova corsa agli armamenti. Il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), considerato per decenni la pietra angolare della sicurezza globale, appare ormai vetusto, superato e intrinsecamente squilibrato.
Il TNP infatti non solo permette – anzi, legittima – il possesso di armi atomiche da parte di alcune potenze, ma vieta la stessa possibilità a tutti gli altri Stati, generando di fatto una gerarchia nucleare che ha poco a che vedere con la giustizia e ancor meno con la sicurezza collettiva.
A questa architettura imperfetta si contrappone il Trattato ONU sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW), l’unico strumento internazionale che mira davvero alla loro eliminazione totale. Nonostante sia considerato da molti esperti il trattato più moderno, solido e coerente con il diritto umanitario contemporaneo, il TPNW continua a essere sistematicamente osteggiato – proprio – dai Paesi che più invocano la “legalità internazionale” quando serve alle proprie agende strategiche.
La stessa dinamica di ambiguità si ritrova nel dibattito europeo post-Berlino Security Conference 2025, dove persino figure di spicco dell’industria militare — come il presidente di Airbus René Obermann — hanno chiesto apertamente la costruzione di una “deterrenza nucleare tattica europea”. Un linguaggio che non appartiene all’idea originaria dell’Unione Europea come progetto di pace, ma che si avvicina pericolosamente a una logica di competizione bellica sempre più simile a quella delle superpotenze.
Se a questo quadro si aggiunge la decisione statunitense di fornire a Kiev velivoli e missili capaci di trasportare testate atomiche, l’erosione del confine tra guerra convenzionale e minaccia nucleare diventa ancora più evidente.
Le implicazioni per l’Italia
Essere uno dei Paesi europei a ospitare armi nucleari comporta una serie di responsabilità e rischi. Da un lato, la presenza di questi ordigni rafforza il ruolo dell’Italia all’interno della NATO, garantendo un posto di rilievo nelle decisioni strategiche dell’Alleanza. Dall’altro, espone il territorio nazionale a potenziali rischi, rendendolo un obiettivo prioritario in caso di conflitto.
La presenza di 90 bombe nucleari in Italia è il risultato di accordi internazionali e di una strategia geopolitica che vede il nostro Paese al centro delle dinamiche di sicurezza euro-atlantiche. Tuttavia, questo ruolo comporta anche rischi e responsabilità non trascurabili. Resta da vedere se, in un futuro segnato da crescenti tensioni globali, questa politica di deterrenza nucleare rimarrà invariata o se ci saranno cambiamenti.