“Vabbè, Skibidi Boppy”. Una frase priva di senso, diventata però il cuore di uno dei tormentoni digitali più strani e irresistibili degli ultimi mesi. Se navighi su TikTok o Instagram, è quasi impossibile non imbattersi in almeno un video con questa esclamazione seguita da un gesto assurdo o grottesco. Ma da dove nasce tutto questo? E soprattutto: ha davvero un significato?
Cosa significa Skibidi Boppy?
La risposta breve è no. Eppure, proprio in questo vuoto semantico si nasconde la chiave del successo di “Skibidi Boppy”. Il fenomeno ha origini del tutto digitali, anzi artificiali: nasce infatti da un video creato da Veo 3, l’avanzatissimo modello di intelligenza artificiale di Google specializzato nella generazione di video ultra-realistici a partire da semplici comandi testuali. In altre parole, basta scrivere una scena, e Veo la trasforma in pochi secondi in un microfilmato perfettamente animato, con personaggi, ambientazioni e suoni sincronizzati.
La prima clip diventata virale mostra una giornalista che, in uno stabilimento balneare, si avvicina a un ragazzo intento a lavorare al computer in spiaggia. Gli chiede se si stia godendo le vacanze. Lui risponde serio: “No, sto lavorando da remoto, forza Napoli”. E lei, con assoluta naturalezza, esclama: “Vabbè, Skibidi Boppy”. Poco dopo, lo stesso ragazzo si lancia in acqua con il portatile ancora in mano. Tutto questo, ricordiamolo, non è stato filmato da attori: è stato interamente generato da una IA.
Da qui si è aperta la porta a un universo parallelo fatto di video nonsense, dove accade tutto e niente. C’è chi si tuffa in un cassonetto pieno di gelato o chi prende il volo attaccato a un ombrellone. Tutto parte da uno scambio iniziale in apparenza normale, si conclude con la frase “Skibidi Boppy” e subito dopo esplode in un gesto surreale. L’obiettivo? Intrattenere in modo assurdo. Far ridere, confondere, sorprendere.
Un tormentone “senza senso”
Il senso di questi contenuti sta proprio nella loro mancanza di senso. Non comunicano un messaggio, non fanno satira, non denunciano nulla. Sono un puro esercizio di creatività svuotata di significato, eppure magnetica. È ciò che online viene spesso definito come “brain rot humor”, letteralmente “umorismo da marcescenza cerebrale”: quei contenuti volutamente ripetitivi, strani o inutili che sembrano consumare i neuroni, ma che finiscono per generare dipendenza. Un’estetica che parla direttamente alla Gen Z e alla Gen Alpha, cresciute tra meme, loop infiniti e ironia post-qualunque.
L’espressione “Skibidi Boppy” è anche un perfetto esempio di neologismo virale: non ha un’origine precisa, non si traduce in nessuna lingua, ma suona bene, si memorizza facilmente e si adatta a ogni contesto visivo. Ricorda un po’ il nonsense sonoro delle filastrocche infantili o dei jingle pubblicitari: funziona perché si imprime nella testa. E grazie alla struttura modulare dei video – dialogo surreale, frase-chiave, azione assurda – è facilmente replicabile da chiunque, moltiplicando all’infinito le variazioni sul tema.
C’è chi vede in questo fenomeno un segnale preoccupante della “fine del contenuto”: clip sempre più brevi, sempre più vuote, create da macchine e consumate in modo compulsivo. Ma c’è anche chi ne coglie il lato più giocoso e liberatorio: un mondo in cui finalmente nulla deve per forza significare qualcosa.
E così, tra un video generato dall’IA e una risata surreale, “Skibidi Boppy” è diventato il simbolo di una nuova frontiera digitale: quella dell’assurdo condiviso, dell’umorismo che nasce non dalla logica, ma dalla pura imprevedibilità. Un promemoria che, in rete, il nonsense è più vivo che mai. E a quanto pare… è anche virale.