Per decenni la Silicon Valley è stata la cattedrale della razionalità assoluta, il luogo in cui l’unico credo ammesso era quello nel progresso tecnologico. Ma dopo anni in cui Dio sembrava “bandito” dai circuiti dei microchip, la fede torna parlando il linguaggio dell’intelligenza artificiale. E c’è chi, come l’ex CEO di Intel Patrick Gelsinger, sogna apertamente di “accelerare il ritorno di Cristo” attraverso la tecnologia.
L’idea sembra uscita da un romanzo distopico o da un episodio di Black Mirror, eppure è reale: nella culla dell’innovazione mondiale sta prendendo forma un nuovo cristianesimo digitale, fatto di chatbot che rispondono alle preghiere, piattaforme per la gestione automatizzata delle parrocchie e persino modelli di IA “spirituali”, progettati per misurare il benessere interiore degli utenti.
- Il progetto di Patrick Gelsinger: evangelizzare la tecnologia
- Dalla Silicon Valley al Congresso
- L’IA come nuova Bibbia?
- Il paradosso del cristianesimo digitale
Il progetto di Patrick Gelsinger: evangelizzare la tecnologia
Dopo aver lasciato la guida di Intel, Gelsinger ha scelto di unirsi a Gloo, una società con sede in Colorado che si definisce “la piattaforma tecnologica per l’ecosistema della fede”. Il suo obiettivo? Creare strumenti digitali per sostenere le comunità religiose nel mondo e – come lui stesso ha dichiarato – “costruire una tecnologia che migliori la vita umana e prepari il terreno per il ritorno di Cristo”.
Gloo dispone di oltre 110 milioni di dollari di fondi e collabora con leader religiosi e politici statunitensi interessati a integrare la fede con l’intelligenza artificiale. Tra i progetti principali c’è la creazione di un sistema open source capace di collegare app religiose, chat pastorali e software di meditazione laici, costruendo una rete di “servizi spirituali digitali” accessibile a ogni denominazione cristiana. In questa visione, l’IA diventa una nuova “incarnazione digitale” della Chiesa: un’estensione tecnologica del messaggio di Dio, capace di accompagnare il fedele ovunque: sullo smartphone, nei social, nella quotidianità.
Dalla Silicon Valley al Congresso
Gelsinger non è un outsider isolato. La sua iniziativa si inserisce in una tendenza più ampia che sta coinvolgendo molti protagonisti del mondo tech, da Peter Thiel a Katherine Boyle, passando per imprenditori e venture capitalist vicini al nuovo conservatorismo americano. Negli ultimi anni, la Silicon Valley ha progressivamente abbandonato il suo volto libertario e progressista, avvicinandosi a una visione più tradizionale e spirituale, in parte influenzata dalle divisioni politiche e culturali che attraversano gli Stati Uniti.
Gelsinger, oggi, presenta i suoi progetti non solo nelle chiese, ma anche ai membri del Congresso americano e ai gruppi di pressione legale a Washington. L’obiettivo è influenzare la futura regolamentazione dell’intelligenza artificiale, introducendo criteri “etici e cristiani” nello sviluppo dei modelli linguistici. “Voglio che anche Zuckerberg ci creda”, ha dichiarato ironicamente, lasciando intendere di voler coinvolgere anche i giganti della tecnologia nel suo piano di “evangelizzazione algoritmica”.
L’IA come nuova Bibbia?
Durante un recente seminario organizzato da Gloo, Gelsinger ha paragonato la rivoluzione dell’intelligenza artificiale all’invenzione della stampa di Gutenberg: “Allora la Chiesa seppe abbracciare la tecnologia e cambiò l’umanità. La domanda è: sapremo farlo anche oggi?”. Il parallelismo non è casuale. Come la stampa rese la Bibbia accessibile a tutti, l’IA, secondo questa visione, potrebbe rendere universale il linguaggio della fede, superando barriere culturali e linguistiche. È un sogno grandioso, ma anche pieno di contraddizioni. Può davvero un algoritmo interpretare la spiritualità umana? E cosa accade se la fede diventa un servizio digitale personalizzato, ottimizzato da un’intelligenza artificiale?
Il paradosso del cristianesimo digitale
Non tutti, ovviamente, condividono l’entusiasmo di Gelsinger. Teologi e studiosi di etica hanno sollevato dubbi profondi. Anne Foerst, informatica e teologa alla St. Bonaventure University, ha ricordato che “la Bibbia parla di compassione, accoglienza e cura dei poveri, valori difficili da conciliare con la cultura della performance e del profitto che domina la Silicon Valley”.
Anche la giornalista Elizabeth Bruenig, sulle pagine di The Atlantic, ha definito il fenomeno un “vangelo della prosperità 2.0”: una fede piegata al culto dell’efficienza, dove la salvezza coincide con il successo e la connessione con Dio passa attraverso un server. Dietro l’apparente rinascita spirituale, dunque, si cela una nuova forma di potere: la tecno-teologia del capitalismo digitale, in cui la fede diventa branding e l’intelligenza artificiale lo strumento di un nuovo proselitismo globale.
 
 
                     
		 
		 
		 
		 
		 
		 
		 
		 
		 
		