Nel 2025, tra gli specialisti di malattie infettive e gli esperti di salute pubblica è tornato un termine che inquieta: “The Big One”. Si tratta dell’ipotesi concreta che un patogeno estremamente pericoloso possa emergere e scatenare una pandemia ancora più devastante del COVID-19. Diverse voci scientifiche avvertono che non è questione di se, ma di quando.
- Le radici del concetto “The Big One”
- Perché il rischio è reale
- Cosa stima il modello catastrofista
- Le critiche e le incognite
- Cosa serve per prepararsi
Le radici del concetto “The Big One”
Il termine è stato rilanciato dal libro The Big One: How We Must Prepare for Future Deadly Pandemics, scritto da Michael T. Osterholm e Mark Olshaker. Osterholm, epidemiologo di lungo corso e direttore del Center for Infectious Disease Research and Policy (CIDRAP), avverte che il mondo non ha imparato abbastanza dalla pandemia del 2020 e che un agente patogeno con trasmissibilità elevata e mortalità significativa potrebbe emergere in qualsiasi momento.
Secondo gli autori, un’ipotesi plausibile sarebbe un virus respiratorio (una nuova variante o coronavirus simile) capace di combinare la contagiosità del SARS-CoV-2 con la mortalità di virus come MERS.
Perché il rischio è reale
Le condizioni per la comparsa di “The Big One” non sono fantascienza. Alcuni fattori di rischio sono ben noti:
- Zoonosi: molte malattie emergenti saltano dagli animali all’uomo. Il mondo moderno, con deforestazione, alterazione degli habitat e intensa interazione uomo-fauna, facilita questi passaggi.
- Mutazioni: anche virus già conosciuti potrebbero mutare diventando più pericolosi o sfuggendo alle immunizzazioni esistenti.
- Mobilità globale: il ritmo del trasporto internazionale consente a un patogeno emergente di viaggiare tra continenti prima ancora che le autorità si attivino.
- Fragilità delle infrastrutture sanitarie: molti paesi non hanno sistemi resilienti per rispondere a un’impennata simultanea di malati gravi.
- Debolezze nella preparazione: tagli alle risorse pubbliche, disinvestimenti nella ricerca e frammentazione della governance sanitaria possono amplificare l’impatto.
Osterholm afferma che l’infrastruttura sanitaria statunitense (e non solo quella) ha subito un indebolimento negli ultimi anni, perdendo parte della capacità di risposta rapida e strutturata che era stata costruita in precedenza.
Cosa stima il modello catastrofista
Il libro e le analisi correlate non parlano di numeri arbitrari ma di scenari sensati: una pandemia “The Big One” potrebbe causare milioni di morti, distruggere le catene di approvvigionamento, paralizzare l’economia globale e mettere in crisi ogni sistema nazionale di salute.
Un elemento chiave è la simmetria dei danni: non solo contagiati e morti, ma scarsità di medicinali, difficoltà nel trasporto, interruzione delle attività essenziali e collasso logistico potrebbero ampliare la tragedia ben oltre la sola malattia. (Live Science)
Le critiche e le incognite
Come in ogni previsione drastica, esistono margini di incertezza. Alcuni scienziati ricordano che non tutti i virus hanno il potenziale di causare una catastrofe mondiale. Occorre considerare:
- la capacità di diffusione (un virus mortale ma poco contagioso può non fare danni su scala globale);
- il tempo di latenza, che può favorire la risposta diffusa;
- le vulnerabilità nel sistema di sorveglianza, che esistono anche nei paesi più avanzati.
In ogni caso, come afferma un recente articolo della Harvard T.H. Chan School of Public Health: la domanda non è se ci sarà una nuova pandemia, ma quando.
Cosa serve per prepararsi
Per fronteggiare “The Big One”, gli esperti raccomandano azioni concrete e tempestive:
- Rafforzare i sistemi sanitari: ospedali, reti di terapia intensiva, personale specializzato: tutto deve essere dimensionato anche per scenari catastrofici.
- Produrre vaccini e antivirali con flessibilità: la tecnologia mRNA è una delle più promettenti per rispondere rapidamente a un nuovo patogeno. Osterholm sottolinea come sia essenziale avere capacità produttive distribuite e non concentrate in pochi paesi.
- Coordinazione globale ed equità vaccinale: le disuguaglianze nella distribuzione dei vaccini durante COVID hanno dimostrato che lasciare regioni del mondo scoperte può boicottare la lotta globale.
- Sorveglianza precoce e sistemi di allerta rapidi: monitoraggio animale, raccolta dati genetici, sequenziamento rapido per intercettare mutazioni emergenti.
- Educazione e fiducia pubblica: le misure sanitarie funzionano solo se il cittadino collabora: trasparenza e comunicazione sono imprescindibili.