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Sei nato dopo il 1990? Questa notizia sulla tua pensione non ti piacerà

Giovani e pensione: un futuro a rischio tra lavoro precario e sistema insostenibile

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Alessia Malorgio

Alessia Malorgio

Content Specialist

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La situazione dei giovani in Italia è sempre più allarmante. Tra lavoro precario, stipendi insufficienti, affitti insostenibili e una pensione che appare come un miraggio, la nuova generazione sta vivendo una crisi strutturale. Per chi è nato dopo il 1990, parlare di vecchiaia serena è quasi ironico. Le proiezioni dell’OCSE non lasciano spazio all’ottimismo: i nuovi entrati nel mercato del lavoro italiano potranno andare in pensione a 71 anni, un record europeo, superato solo dalla Danimarca.

Un dato che da solo fotografa il disastro: l’età pensionabile reale cresce, mentre le certezze economiche calano. Ma com’è possibile garantire la sostenibilità di un sistema previdenziale, quando l’accesso a un lavoro stabile è diventato un privilegio?

Il passaggio dal sistema retributivo al contributivo: una svolta che penalizza i giovani

Il cambiamento fondamentale del sistema pensionistico italiano è avvenuto negli anni ’90, con il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo. Prima, la pensione veniva calcolata sulla base degli ultimi stipendi percepiti, generalmente i più alti della carriera. Oggi, tutto dipende dai contributi effettivamente versati durante la vita lavorativa.

Un modello più sostenibile, almeno sulla carta, ma che ignora una realtà centrale: il mercato del lavoro attuale è frammentato, discontinuo e spesso non retribuito in modo equo. Chi lavora oggi non ha la garanzia di costruire una carriera lineare e stabile. Il risultato? Pensioni più basse e accessibili sempre più tardi.

Carriere intermittenti e contratti a tempo: il futuro previdenziale è in crisi

Entrare tardi e a fatica nel mondo del lavoro è ormai la norma. Dopo lunghi anni di formazione universitaria, seguiti da stage gratuiti e tirocini malpagati, molti giovani riescono a ottenere un impiego stabile solo intorno ai 30 anni. Ma in un sistema contributivo, ogni anno senza versamenti è un anno perso.

Secondo l’OCSE, una lavoratrice che si ferma per dieci anni per motivi familiari o personali subirà una penalizzazione pensionistica del 27%. In Italia, queste interruzioni non sono eccezioni, ma prassi comune. Contratti a progetto, collaborazioni occasionali, partite IVA fittizie: tutto contribuisce a creare un mosaico di vuoti contributivi, difficili da colmare.

In più, il salario medio netto di un under 35 è di appena 1.300 euro al mese. Troppo poco per versare contributi significativi o pensare alla previdenza integrativa. Il Sud Italia, in particolare, registra retribuzioni ancora più basse, aggravando ulteriormente il divario.

Giovani vs Baby Boomer: una frattura generazionale sempre più profonda

I baby boomer, che hanno costruito la propria carriera negli anni del boom economico, hanno goduto di un contesto favorevole: lavoro stabile, stipendi in crescita, assunzioni a tempo indeterminato nella pubblica amministrazione o nelle grandi aziende. Molti sono andati in pensione a 60 anni, con assegni elevati e senza subire penalizzazioni.

La Generazione Z si trova invece in una condizione opposta: disoccupazione giovanile tra le più alte d’Europa, carriere discontinue, frequente mobilità e una pensione che appare irraggiungibile. A ciò si aggiunge un dato strutturale: l’Italia è uno dei Paesi più vecchi al mondo, con un rapporto squilibrato tra attivi e pensionati. I contributi dei giovani servono oggi a pagare le pensioni di chi è già in quiescenza, senza che ci sia garanzia di reciprocità futura.

INPS: simulazioni, allarmi e riforme mancate

Negli ultimi anni, l’INPS ha pubblicato dati che confermano la difficoltà del sistema contributivo per i giovani. Per chi è nato dopo il 1996, e rientra nel contributivo puro, il tasso di sostituzione potrebbe crollare al 50%. In pratica, una pensione pari alla metà dell’ultima retribuzione. A una sola condizione: lavorare 40 anni senza interruzioni.

Il presidente dell’INPS, Gabriele Fava, ha invocato una “riforma strutturale”, ma ad oggi mancano proposte concrete. Intanto, le pensioni integrative restano poco diffuse: meno del 20% dei giovani tra i 25 e i 35 anni ha aderito a un fondo pensione. Tra scarsa informazione, sfiducia nel sistema e impossibilità economica, la previdenza resta un lusso per pochi.

Previdenza integrativa: soluzione o illusione?

I fondi pensione potrebbero rappresentare un’opportunità per integrare l’assegno pubblico, ma la verità è che pochi giovani possono permettersi di accantonare una quota mensile di risparmio. Quando si fatica a pagare l’affitto o a fare la spesa, pensare alla pensione diventa secondario.

Serve un grande sforzo informativo, accompagnato da incentivi fiscali più forti e strumenti di adesione automatica. Altrimenti, anche la previdenza complementare rischia di riprodurre le stesse disuguaglianze del sistema pubblico.

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