Che differenza c'è tra ridere e sorridere: aforismi celebri

Tra "ridere"e "sorridere" c'è una differenza tanto sottile quanto profonda e legata all'intima personalità, che è stata colta anche in frasi di personaggi famosi

5 Agosto 2016

La differenza che c’è tra ridere e sorridere, o “sub-ridere” è una delle riprove delle innumerevoli sfaccettature della lingua italiana, che è quanto mai complessa e ricca di sfumature. Se, come si suol dire, la qualità della vita è nei dettagli, la capacità di sorridere è una dote interiore in grado di farci cogliere il lato positivo delle cose. Meno evidente e diffuso, il sorriso ha un’essenza meno effimera della risata perché proviene in misura maggiore dall’interno ed è indice di un approccio costruttivo all’esistenza e al prossimo. Indicative in tal senso sono locuzioni come “sorridere alla vita” e “sorridersi”. E’ possibile sorridere senza una ragione contingente, mentre si ride sempre di o per qualcosa di particolare e fugace.

Tra chi sa sorridere e chi sa solo ridere c’è una differenza di spirito e di carattere che si traduce in una divergenza di potenzialità che la saggezza del popolo giapponese ha efficacemente espresso in un proverbio: “Non sorridiamo perchè qualcosa di buono è successo, ma qualcosa di buono succederà perchè sorridiamo”.
L’animo è svelato dagli occhi e dai sorrisi e, per citare Madre Teresa di Calcutta, “la gioia non può essere racchiusa dentro di noi. Trabocca. La gioia è molto contagiosa”. Il sorriso è anche un mezzo di comunicazione spesso più eloquente delle parole: è, per dirlo ancora con Madre Teresa, “il principio dell’amore”:

Oltre ad essere una benefica espressione di solarità, il sorriso è anche indice di ironia e riflessività. Esso si contrappone, in questa forma, alla più superficiale risata e diviene, paradossalmente, segno di serietà. A questa ulteriore differenza che c’è tra il ridere ed il sorridere corrisponde quella tra comicità ed umorismo e, in letteratura, tra romanzo comico e romanzo umoristico : mentre il primo fa leva sull’immediatezza della reazione, il secondo presuppone un’approfondita analisi e comprensione della realtà ed implica capacità di immedesimazione ed empatia. Il sorriso, dunque, può anche assumere una sfumatura amara. Ma anche se “triste” il sorriso reca un messaggio di speranza perché, anche se velato, resta pur sempre un segnale positivo: per quanto “abbozzato” è “pur sempre un sorriso” (Il Cacciatore di Aquiloni).

Quindi è meglio sorridere malinconicamente che perdere la capacità di farlo, perchè “più triste di un sorriso triste è la tristezza di non saper sorridere” (Jim Morrison). Alla differenza che c’è tra ridere e sorridere fa riscontro quella dei benefici di una risata rispetto a quelli di un sorriso. La prima ha un’immediata e salutare forza liberatoria ed è per questo, come ha detto Dario Fo, che il riso è “sacro” e la prima volta che un bambino ride è una “festa”. Il secondo trasmette fiducia e comunica, talvolta inavvertitamente, i sentimenti più profondi. La capacità di ridere e quella di sorridere sono, dunque, due aspetti complementari della natura umana, che ci consentono di godere appieno degli aspetti migliori della vita e di affrontare con atteggiamento costruttivo quelli più difficili ed oscuri.

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