Intervista a Ezio Bosso: “Dove c’è musica, lì sono le mie radici”

In occasione del suo ritorno a Milano, abbiamo fatto una profonda chiacchierata con Ezio Bosso tra fede, Festival di Sanremo e cellulari ai concerti.

16 Aprile 2018

Vincitore di alcuni importanti riconoscimenti internazionali, tra cui il prestigioso Green Room Award (tra l’altro primo e unico non australiano ad aggiudicarsi il premio), Ezio Bosso è un grande musicista e direttore d’orchestra italiano ma, soprattutto, un uomo carismatico e dalla forte personalità. Era – infatti – il febbraio del 2016, quando Bosso portò nelle case degli italiani un potente messaggio di passione e tenacia, incantando il Teatro Ariston di Sanremo con le sue parole e la sua musica.

Ezio Bosso nasce a Torino il 13 settembre 1971 e fin da piccolo manifesta una propensione naturale per la musica: alla tenerissima età di 4 anni – infatti – comincia a studiare musica e ad appena 12 compone le sue prime opere. A 15 anni entra poi come bassista negli Statuto, gruppo ska torinese, con i quali rimarrà per circa 3 anni.

Ma la passione di Ezio è la musica classica, che lo porta presto a Vienna, dove si forma sotto la guida di Streicher e Österreicher e Schölckner. Si esibisce nelle più importanti stagioni concertistiche internazionali, sia come musicista che come direttore d’orchestra, calcando i palcoscenici più prestigiosi al mondo: dal Royal Festival Hall alla Sydney Opera House, dal Southbank Centre al Palacio de Bellas Artes di Città del Messico, dalla Carnegie Hall al Teatro Colòn di Buenos Aires, dalla Houston Symphony all’Auditorium Parco della Musica di Roma, senza dimenticare il Teatro Regio di Torino, la sua città.

Originale ed eclettico, Bosso ha composto anche musiche per il teatro e per il cinema, tra cui la celebre colonna sonora per quartetto d’archi del film “Io non ho paura” di Gabriele Salvatores, con cui ha collaborato anche per “Quo vadis?” e “Il ragazzo invisibile”.

Nel 2011, Ezio Bosso scopre di avere una malattia neurodegenerativa che gli compromette la capacità di camminare, parlare e muoversi liberamente. Dopo una prima fase di sconforto, Bosso trova proprio nella musica la propria ragione di vita, continuando a suonare e a esibirsi in giro per il mondo. Come dice Adriano Celentano, “una vita senza musica è triste, ma una musica senza vita è terribile”. E di vita, nella musica di Ezio Bosso, ce n’è davvero tanta.

Attualmente, Ezio Bosso è Direttore stabile residente del Teatro Verdi di Trieste e il 5 maggio sarà – appunto – a Milano, al Conservatorio “G. Verdi” per una serata di beneficenza a favore dell’associazione no profit “Diamo il La”, che si occupa dell’infanzia.

“È un concerto che ha come intento un’iniziativa bellissima: comprare degli strumenti per i bambini dell’asilo”, ci ha raccontato.“Proprio perché Milano mi mancava tanto, farò un po’ di tutto: suono e dirigo. Sarà un percorso che racconta una cosa secondo me bellissima, ossia il fatto che la musica è nata per trascrivere, infatti è l’unica forma d’arte che trascrive persino se stessa”.

Abbiamo incontrato Ezio Bosso proprio in occasione di questo gradito ritorno a Milano ed ecco la nostra chiacchierata.

ezio bosso direttore d'orchestra Fonte: Facebook

“The 12th Room” è stato certificato Disco d’Oro e la tournée omonima del 2016 ha superato le 100 mila presenze, numeri incredibili per la musica classica. Che tu lo voglia o no, sei diventato un modello, un’icona, un personaggio: hai mai temuto che il pubblico ti possa mettere davanti alla musica stessa?

Certo, “cercare di non esistere” è una delle mie più grandi lotte. È bello essere una persona che si spende per gli altri, ma i modelli mi fanno davvero paura perché non vanno avanti, ripetono se stessi. Io sono sincero: per farti un esempio, quando mi accorgo che inizio a ripetere troppo spesso qualcosa, anche senza valore, non riesco più a dirlo, perché credo davvero nelle mie parole. Per me la musica deve essere sempre davanti: io sono un tramite, un interprete; che poi scriva la musica o la diriga non ha importanza, sempre un’interprete sono. Non si deve mai mettere la persona davanti alla musica, chi fa così – fosse anche per ingenuità – fa del male.

Arriviamo al febbraio del 2016 e a quella presenza molto forte sul palco dell’Ariston. Oggi, a più di due anni di distanza, torneresti a Sanremo?

Assolutamente no, è stata una follia benevola, infatti sono sparito il giorno dopo. Non è il mio mondo: sono andato a portare musica, non è andato Ezio Bosso. Provate a riascoltare quello che ho detto: ho parlato di direzione d’orchestra, di composizione, di fondamento della musica classica come beneficio umano, non ho parlato d’altro. Pensaci un attimo, quanto compaio in televisione, una volta l’anno? E neanche in diretta perché ne ho paura, non voglio diventare un prodotto. Voglio essere libero e dare libertà.

Direttore d’orchestra, compositore, pianista, in un’altra epoca e in un’altra provincia addirittura Xico, il bassista degli Statuto. Quanti Ezio Bosso convivono dentro di te?

Mi sono accorto di aver vissuto tutte le vite che un uomo avrebbe desiderato e allo stesso tempo un altro uomo avrebbe avuto paura di vivere. E tra queste c’è anche quella di Xico, un ragazzino di 15 anni che suonava in una band. Già facevo il conservatorio e mi avevano pure cacciato subito perché non ero capace. Allo stesso tempo – come dico sempre – sono un direttore d’orchestra che scrive la musica e suona il pianoforte se ce n’è bisogno, ma non sono un pianista, quindi questi tre aspetti possono convivere. Poi è vero, ogni giorno mi confronto con colui che scrive e colui che interpreta e si prendono a mazzate quotidianamente. Per il resto, se posso mi evito.

Hai diretto la London Symphony Orchestra, la London Strings, l’Orchestra del Teatro Regio di Torino, giri il mondo con le tournée e attualmente sei direttore stabile del Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste. Esiste un luogo dove ti senti a casa?

Londra è stata ed è ancora la mia casa da tanti anni. In realtà sono in giro da quando avevo 15 anni e ho scoperto dopo ormai 30 di lavoro che dove c’è la musica, c’è anche la mia casa. Le mie radici ho la fortuna di spargerle un po’ ovunque: uno dei prossimi lavori che uscirà – ti do un piccolo scoop – sarà proprio sul tema delle radici. Ho fatto una lunga riflessione su cosa siano le radici: le radici non ci incastrano, ci liberano. Mi rendo conto quindi di aver avuto case meravigliose in tante parti del mondo: casa è quell’esatto istante in cui respiri e ti accorgi di essere. Non sono solo dei muri, anche, certo. Ma per me è proprio quando ti guardi intorno e vedi quel sorriso di fianco a te: ci sono tutti gli elementi e non sai mai dove.

Per tua fortuna lavori in luoghi – i teatri classici – che per il momento hanno scampato l’invasione dei telefonini. Vorrei però un tuo commento a questa pratica che sta invece rovinando a molti la fruizione di un concerto.

Non l’hanno per niente scampata, guarda: è una lotta eterna. Lo dico sempre ai concerti, prima ci scherzavo, ora provo a far riflettere. Vedere tutto filtrato attraverso il telefono ci toglie libertà; dobbiamo imparare a raccontare le cose, non a fare una foto da lontano per dimostrare che c’eri. Togliamo questo filtro, anche perché sennò non ascoltiamo bene la musica; senza contare poi quello dietro di noi – poveretto – che magari avrebbe voglia di vedersi il concerto non sul nostro schermo. Dovremmo avere l’accortezza di scordarlo il telefono: siamo lì per dimenticarci il mondo che c’è fuori, se continuiamo a stare col cellulare in mano è inutile andare a un concerto. Inoltre, bisogna ricordarsi che mentre un musicista sta suonando – e questo vale soprattutto per noi che facciamo quella musica dove il silenzio stesso è parte della composizione – un telefono che squilla e che si accende è come qualcuno che squarcia la tela di un Caravaggio: quel momento è distrutto per sempre. È veramente come andare a fare un buco dentro un Michelangelo o un Leonardo Da Vinci: hai distrutto quel’opera. E pensa che dolore prova chi quell’opera la sta facendo. Non fastidio, dolore.

Si sente dire spesso che la musica, in particolare quella classica, abbia attinenza con la matematica. Cosa pensi di questo?

Tutto ha una certa attinenza con la matematica, se ci pensi la matematica ha a che fare con l’universo, è una scienza che spiega la vita. Ed essendo tutta la musica, anche quella rock, un’essenza di vita, ha un profondo legame con la matematica. In questo senso, i musicisti sono dei veri time master perché governano il tempo in tutte le sue dimensioni: passato, futuro, presente, anche in senso tridimensionale. La musica è un tempo che diventa tangibile. Puoi toccare il tempo, pensa che bello.

Credi in Dio?

Sì…no…non lo so (ride). Credo in chi crede, credo nella magia delle cose. Penso che – in qualche modo – siamo impregnati di materia divina.

C’è qualcosa di cui hai paura? 

Tante cose, ma lotto ogni giorno affinché non diventi un “aver paura della paura”. Abbiamo iniziato questa chiacchierata con una mia paura, quella che la persona stia davanti alla musica; questa però è – in qualche modo – una bella paura, perché mi permette di lavorare più sodo.

Qual è invece il tuo rapporto con la natura, madre e matrigna?

Se uno pensa alla mia produzione, è quasi tutto dedicato agli elementi metereologici, alla pioggia, al mare. La natura la vivo, la studio, la imparo, la subisco anche, ma con gioia. E soprattutto, la rispetto.

In un certo senso, la bellezza della natura è fatta anche di contraddizioni: ci hai mai pensato che il tuo pianoforte a coda, da cui escono le note che incantano i teatri e le platee di tutto il mondo, ha richiesto il sacrificio di un albero?

Sai che proprio la mia seconda sinfonia parlava di dove nascono gli strumenti musicali? Non tutti sanno che i violini, le tavole armoniche e le chitarre, nascono dalle foreste della Val di Fiemme: lì c’è un bosco che ha un particolare tipo di albero, perfetto per questo impiego. Ecco che mi chiesero – anni fa – di raccontare in musica il percorso di un albero che alla fine diventa uno strumento, restando albero. E infatti l’ultimo movimento di questa sinfonia si intitola “Between man and trees”, ovvero “Tra gli uomini e gli alberi”. E cosa c’è tra gli uomini e gli alberi? Ecco, il pianoforte.

ezio bosso piano Fonte: Facebook

 

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