Perchè si dice "c'è del marcio in Danimarca"?

"C'è del marcio in Danimarca" è una delle frasi più celebri dell'Amleto, opera teatrale di William Shakespeare. Ma qual è il significato di questa frase divenuta oggi di uso comune? Scopriamolo

27 Ottobre 2023
Alessia Malorgio

Alessia Malorgio

Content Specialist

Ha conseguito un Master in Marketing Management e Google Digital Training su Marketing digitale. Si occupa della creazione di contenuti in ottica SEO e dello sviluppo di strategie marketing attraverso canali digitali.

Fonte: ansa

L’espressione “C’è del marcio in Danimarca” è comunemente utilizzata per denotare situazioni di disonestà o imbroglio che vengono deliberatamente occultate. Questa citazione deriva dall’opera teatrale “Amleto” scritta da William Shakespeare, il rinomato drammaturgo e poeta inglese del XVII secolo. Le opere di Shakespeare sono ricche di citazioni famose, alcune delle quali sono diventate celebri anche tra coloro che non sono esperti in teatro. Tra le più famose spicca sicuramente “Essere o non essere,” un interrogativo esistenziale pronunciato dal protagonista, il principe Amleto, all’inizio del terzo atto della tragedia.

Scopri anche:– La prima frase scritta in italiano è una parolaccia con

Cosa vuol dire ‘c’è del marcio in Danimarca’?

La celebre citazione “c’è del marcio in Danimarca” proviene dalla quarta scena del primo atto dell’opera teatrale “Amleto” di William Shakespeare. In questa scena, Marcello, la guardia del Re, rivolge queste parole ad Orazio, l’amico fidato di Amleto. L’espressione fa riferimento alla presenza di intrighi, tradimenti, inganni e ambizioni di potere che permeano il regno di Danimarca, l’ambientazione della tragedia. Questa frase è diventata di uso comune nel corso dei secoli e conserva il suo significato originario, indicando il sospetto di segrete malefatte o disonestà in contesti che sembrano rispettabili e sani. Ecco perché l’espressione “c’è del marcio in Danimarca” continua a essere utilizzata.

L’opera “Amleto” di William Shakespeare è una delle più famose al mondo ed è stata tradotta in numerose lingue, rendendo così questa citazione familiare a molte persone. Nonostante il tono poco lusinghiero nei confronti della Danimarca, il Paese scandinavo è noto per la sua virtuosità in molti settori. Numerose ricerche statistiche evidenziano l’efficienza del sistema danese, che spazia dalla legislazione al diritto penale, dall’amministrazione pubblica ai servizi pubblici, dall’accesso alle informazioni al sistema sanitario, ai trasporti pubblici, all’economia, all’istruzione e alla politica.

Questo successo è attribuito al “Modello sociale scandinavo” adottato dalla Danimarca. Il Paese è considerato uno dei migliori al mondo in termini di integrità, trasparenza e controllo della corruzione. Secondo l’UNESCO e numerosi studi, la Danimarca vanta il titolo di paese più felice del mondo, grazie a una combinazione di fattori che includono l’efficace sistema sociale, l’uguaglianza, e il benessere generale della popolazione. Al contrario, molte altre nazioni non possono vantare la stessa reputazione, il che rende l’espressione “c’è del marcio in Danimarca” appropriata per riferirsi a situazioni meno virtuose in altre parti del mondo.

Shakespeare spalla di Totò: la frase ‘c’è del marcio in Danimarca’ nel suo film

C’è anche una mitica scena dal film “Chi si ferma è perduto” di Sergio Corbucci, in cui Totò e Peppino, sposati, vogliono circuire la sorella del capo che si chiama Giulia ed è interpretata da una strepitosa Lia Zoppelli. La signorina ha passione per l’arte, anche se è stata mollata da un attore shakespeariano, ma comanda il fratello a bacchetta. Per conquistarla Totò-Antonio Guardalavecchia, allestisce su due piedi, in un gazebo, un’esilarante mitica pièce, in cui contamina “Amleto” con “Giulietta e Romeo”.
Essere o non essere, questo è il problema” recita Totò nel film parlando ad una bella donna citando Shakespeare. Tutti siamo schiavi del bisogno, aggiunge il personaggio di Totò che alla fine esclama proprio la celebre frase: C’è del marcio in Danimarca, ma alla fine aggiunge un “mah” che forse indica che non ha ben capito il significato.

Le espressioni inventate da Shakespeare che sono diventate di uso comune

Non è l’unica espressione derivata dalla tragedie del sommo scrittore britannico. Tra le frasi più celebri, tratte dai libri di William Shakespeare divenute di uso comune ci sono: In inglese: “All’s well that ends well”, espressione che viene usata per situazioni complesse, ma che si risolvono in un lieto fine. Il significato letterale “tutto bene cioè che finisce bene” e l’espressione è stata usata per la prima volta nell’opera omonima di Shakespeare, “All’s well that ends well”, scritta fra il 1604 e il 1605.

Altra espressione molto usata è Naked truth”, che in italiano è usata per descrivere una verità assoluta, senza nessun margine di errore o menzogna. Si può chiedere a qualcuno di dire la “nuda verità” per sottolineare quanto la sincerità sia importante in quel contesto. In italiano si può anche dire “verità nuda e cruda”, una variazione rispetto all’originale inglese. Questa espressione viene da “Love’s Labour’s Lost”, una delle prime commedie di Shakespeare, scritta per Elisabetta I nel 1597.

In inglese: “A heart of gold, letteralmente un cuore d’oro è usata per descrivere una persona buona e generosa, risale a una delle opere più famose dello scrittore inglese: Henry V, scritta nel 1599, dove compare per la prima volta questa frase per descrivere una persona. E ancora “Non ho chiuso occhio”, che in inglese Shakespeare scriveva “I have not slept one wink”, racconta dell’insonnia di cui l’uomo ha spesso sofferto. La prima traccia di questa espressione risale addirittura al 1303, quando nell’opera “Handlyng synne” si legge: Ne slepte onely a-lepy wynke”, che William Shakespeare ha modificato e l’ha resa quella che è oggi nel 1611, nella sua opera intitolata Cymbeline.

Una quinta espressione è  “Quel che è fatto è fatto”, in inglese, “What’s done is done” che in italiano si usa per dire che ciò che è passato è passato, e non c’è più motivo di preoccuparsene perché non si può cambiare il passato. In inglese l’espressione si incontra per la prima volta nel 1611 in un’altra delle opere principali di Shakespeare: Macbeth. E sempre nella stessa opera, William Shakespeare utilizza un’altra espressione simile: What’s done cannot be undone”, che letteralmente, si traduce con “ciò che è fatto non si può disfare”.

In italiano si utilizza invece “ciò che è fatto è fatto”. Infine una sesta espressione molto usata e che veramente tutti conoscono è Fair play, usata in inglese come in italiano, e si riferisce alla condotta sportiva e lecita in un gioco o evento sportivo. L’origine di questa espressione la si deve, ancora una volta, a Shakespeare, che la utilizzò in diverse sue opere. La prima di esse si intitola “The Tempest”, la tempesta, scritta nel 1610: “Yes, for a score of kingdoms you should wrangle, and I would call it, fair play”. Ancora una volta, grazie Shakespeare.

 

 

 

più popolari su facebook nelle ultime 24 ore

vedi tutti