Il segreto nascosto nei nostri batteri: la vita dopo la morte

Scopri il fenomeno straordinario dei microbiota che persistono oltre la morte umana e il loro impatto sull'ambiente e sulla creazione di nuova vita nel mondo naturale

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Stefania Cicirello

Stefania Cicirello

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Cosa succede al nostro corpo dopo la morte? È una domanda che ha affascinato l’umanità per secoli, portando a molte speculazioni e credenze diverse. Alcuni potrebbero rispondere che a restare è “l’anima”, altri potrebbero menzionare i figli, gli affetti o persino le azioni che abbiamo compiuto nella vita. Tuttavia, c’è un aspetto meno noto ma altrettanto affascinante da considerare: il nostro microbiota.

Il microbiota che continua a vivere

Dal momento della nascita, il nostro corpo ospita miliardi di batteri, funghi, virus e protozoi. Questi microorganismi ci assistono nella digestione, nella lotta contro le infezioni e nella produzione di vitamine essenziali. Per loro, la nostra morte non rappresenta la fine, ma piuttosto un nuovo inizio.

Uno studio recente, pubblicato sulla rivista Ecological Processes, ha rivelato che, al momento della nostra morte, il nostro microbiota continua a svolgere un ruolo vitale. Questi microorganismi non si fermano, ma lavorano instancabilmente per decomporre il nostro corpo, riciclarlo e, se possibile, trovare una nuova dimora.

Jennifer DeBruyn, microbiologa ambientale presso l’Università del Tennessee, è una delle autrici di questo studio e ha condiviso i risultati in un articolo su The Conversation. DeBruyn spiega che il passaggio dalla vita alla morte comporta notevoli cambiamenti nel nostro organismo. Il cuore cessa di battere e, senza l’apporto di ossigeno, le cellule iniziano un processo noto come autolisi, in cui gli enzimi che normalmente digeriscono nutrienti come carboidrati, grassi e proteine si rivolgono alle strutture cellulari, come membrane, proteine e DNA. Questo processo porta alla distruzione cellulare.

Nel frattempo, i batteri e gli altri componenti del microbiota si trovano senza nutrimento, poiché solitamente ricevono il loro cibo da ciò che mangiamo. Inoltre, non dispongono più delle difese immunitarie del nostro corpo. Pertanto, iniziano a nutrirsi dei prodotti di scarto generati dall’autolisi delle nostre cellule. Questo è ciò che comunemente chiamiamo decomposizione. I batteri, che in vita erano in simbiosi con noi, contribuendo alla digestione, alla difesa dalle infezioni e alla produzione di sostanze vitali come le vitamine, ora iniziano a scomporre il nostro corpo.

È importante notare che questo processo avviene normalmente in un ambiente non sterile, come il terreno, dove vivono intere comunità di microorganismi pronti a svolgere lo stesso ruolo. Le ricerche di DeBruyn hanno dimostrato che il microbiota umano persiste per mesi, se non anni, nelle vicinanze del luogo in cui è avvenuta la decomposizione del cadavere. Questo microbiota è pronto a trovare un nuovo ospite, dando vita a una nuova colonia batterica e, di conseguenza, a un nuovo microbiota.

I microorganismi che riciclano il nostro corpo

Collaborando con le comunità batteriche presenti nel suolo, i microorganismi provenienti dal nostro corpo svolgono un ruolo cruciale nel “riciclare” tutti gli elementi presenti nel corpo, come il carbonio e l’azoto, restituendoli all’ambiente da cui provengono. Così, dopo averci accompagnato per tutta la vita, il nostro microbiota continua a lavorare anche dopo la nostra morte. Contribuisce a trasformare il nostro corpo in nutrienti che sosterranno la crescita di nuove forme di vita. In alcuni casi, può anche trovare un nuovo organismo animale da colonizzare, mantenendo così in vita una piccola parte di noi, o meglio, dei nostri batteri.

Sebbene quindi la morte possa sembrare un confine definitivo, il nostro microbiota ci ricorda che la vita e la morte sono parte di un ciclo più ampio. I microorganismi che ci hanno accompagnato per tutta la vita continuano a vivere e a svolgere un ruolo essenziale nell’ecosistema, contribuendo al riciclo dei nostri resti e alla creazione di nuova vita. Quindi, in un certo senso, una parte di noi sopravvive dopo la morte, mantenendoci “in vita” attraverso il loro lavoro incessante.

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